![]() Una band oramai storica, sempre paragonata ai Guns n’Roses, sicuramente più fortunati quest’ultimi, ma due band diverse tra loro, almeno per il parere di chi scrive. Tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei novanta, hanno dato vita ad album molto interessanti e trascinanti, poi il nuovo millennio e qualcosa inizia a non funzionare più, ma la band non demorde e continua a dar vita a lavori che rimangono nell’ombra fino al 2012, quando esce “Hollywood Forever”, un lavoro che fa riparlare della band americana. Passano cinque anni, gli L.A. Guns frimano per Frontiers Records ed esce il nuovo “The Missing Peace”, un buon album che riporta la band in parte al vecchio sound. La formazione è rinnovata, torna Tracii Guns alla chitarra e c’è sempre l’ugola di Phil Lewis e come con una macchina del tempo è bello rituffarsi in questo sound. “It’s All The Same To Me” è un brano graffiante e molto glam e “Speed”, il titolo dice tutto, è molto veloce e metal. A seguire c’è “A Drop Of Bleach”, brano in linea con il vecchio sound della band e la voce di Phil Lewis si fa sempre più pungente e “Sticky Fingers” è forse uno dei brani più fantasiosi della storia della band, con orchestrazioni anche dark. Ottimi brani sono anche “Christine”, ottima ballad elettro acustica con orchestrazioni sinfoniche e “The Devil Made Me Do It” torna ad essere veloce e metal, ma non mancano momenti più marcatamente melodici e le chitarre di Tracii Guns e di Michae Grant lasciano il segno. Chiudono il cd “The Missing Peace”, la title track e “Gave It All Away”, dove c’è tutto l’universo L.A. Guns, anzi di più molto spazio alla melodia e grande attenzione agli arrangiamenti, chitarre acustiche e fraseggi chitarristici di grande impatto. Una lunga storia che al momento si ciude con “The Missin Peace”, un album che piace e che forse aprirà un nuovo corso nella storia degli L.A. Guns. FABIO LOFFREDO Voto: 7/10 ![]() Tracklist: 01. It’s All The Same To Me 02. Speed 03. A Drop Of Bleach 04. Sticky Fingers 05. Christine 06. Baby Gotta Fever 07. Kill It Or Die 08. Don’t Bring A Knife To A Gunfight 09. The Flood’s The Fault Of The Rain 10. The Devil Made Me Do It 11. The Missing Peace 12. Gave It All Away Label: Frontiers Records Genere: Hard Rock/Heavy Metal Anno: 2017 Members: Phil Lewis: Voce Tracii Guns: Chitarra Michael Grant: Chitarra Johnny Martin: Basso Shane Fitzgibbon: Batteria http://www.laguns.net https://www.facebook.com/officialLAGuns https://twitter.com/LA_GUNS https://www.vevo.com/artist/la-guns http://www.frontiers.it
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![]() Un’altra nuova band partorita dalla sapienza musicale della Frontiers Records, label oramai da anni artefice di grandi uscite discografiche in campo hard rock, AOR, progressive e non solo. I Bigfoot sono una band britannica, che riesce ad unire un sound moderno ad un altro più grezzo e blues, senza perdere di vista l’hard rock melodico e l’AOR e “Bigfoot”, omonimo e primo album della band, racchiude una serie di ottimi brani trascinanti e ricchi di sfumature interessanti. “Karma” è un brano tagliente, con molto groove, hard rock classico ma con un occhio al metal più moderno, mentre più melodia hanno brani come “The Fear”, dal ritornello accattivante e molto melodico, con momenti dove la melodia prende il sopravvento e dove il lavoro chitarristico di Sam Millar e di Mick McCullagh è sempre più perfetto e ancora “Tell Me A Lie”, altro ottimo brano dal riffing chitarristico trascinante e avvolgente, un gran bell’assolo di chitarra e la voce di Antony Ellis pulita e perfetta per il genere musicale dei Bigfoot. Una ballad sognante è “Forever Alone”, splendide melodie cullanti e romantiche ne sono le caratteristiche principali, anche se con il passare dei minuti, la distorsione delle chitarre viene aumentata e si trasforma in una power ballad intensa, con un altro gran bell’assolo di chitarra. Ci sono altri brani degni di nota, anche se l’intero album rimane su alti livelli, come “Freak Show”, brano potente e dalle ritmiche dirompenti e ancora come “The Devil In Me”, più cadenzato e semplice e come “Yours”, che chiude il cd con uno dei brani migliori dell’intero album, quasi nove minuti di musica, una power ballad dalle atmosfere epiche, con un grande guitar work, specialmente nei solos e ancora una volta la voce di Ellis emerge prepotentemente e affascinanti sono anche i cori e le orchestrazioni. Un forte gusto melodico che si scontra con un muro sonoro ricco di riff granitici e grande padronanza tecnica dei ragazzi della band, “Bigfoot” si dimostra un ottimo lavoro di una band che è solo all’inizio. FABIO LOFFREDO Voto: 7,5/10 ![]() Tracklist:
Label: Frontiers Records Genere: Hard Rock Anno: 2017 Members: Antony Ellis: Voce Sam Millar: Chitarra Mick McCullagh: Chitarra Matt Avery: Basso Tom Aspinall: Batteria https://bigfootband.co.uk https://www.facebook.com/bigfootukrock https://twitter.com/bigfootukrock https://www.instagram.com/bigfootuk/ https://www.youtube.com/user/bigfootukrock http://www.frontiers.it La scena musicale napoletana da sempre è stata terreno fertile a contaminazioni di generi. Generi che hanno dovuto fare i conti con la grande tradizione della musica popolare partenopea, arrivando quindi a creare delle mescolanze di rara bellezza. A questo ambito indubbiamente appartiene anche il progetto artistico intrapreso dai Foja, gruppo folk-rock di Napoli che unisce appunto queste influenze alla classica canzone napoletana. Parliamo quindi del terzo album della band “ ‘O treno che va “ uscito sul finire del 2016. Il treno è una delle metafore per eccellenza a indicare il viaggio, la vita , le varie stazioni come momenti vissuti e altri da vivere, storie da raccontare e capaci di farci riflettere. Ed è così anche in questo disco che rappresenta un vero e proprio percorso a bordo di una locomotiva che sfreccia sui binari delle sonorità e delle melodie partenopee rivestendoli di mille sfumature dal rock al blues, passando per il folk, fino ai ritmi caraibici. “Cagnasse tutto” è l’apripista dell’opera e ne racchiude anche uno dei concetti fondamentali, quella voglia di tagliare netto con la negatività e con tutte quelle routine limitanti dalle quale non riusciamo ad uscire. A seguire ecco le storie che iniziano arrivare, c’è quella in salsa blues di Gennaro, il pazzo del quartiere, che raccoglie oggetti dalla spazzatura per farne opere d’arte, accompagnata tra l’altro dall chitarra di Edoardo Bennato, oppure quella la ballad di Sofia con il suo fascino incontrastabile che ci viene raccontato accompagnato da una sezione fiati diretta da Daniele Sepe. Insomma storie e riflessioni, voglia di scappare andare lontano a bordo di quel treno “che va”, senza sapere la destinazione ma semplicemente un po’ più lontano, verso una realtà migliore forse a metà tra fantasia e realtà. Perché forse sarà banale ma quello che conta è il viaggio, è il partire, è il mettersi in moto. E di strada ne hanno fatta e ne faranno i Foja che ci regalano un lavoro maturo e potente con un’ invidiabile ricchezza di tonalità nella loro tavolozza acustica grazie alla quale ci portano metafisicamente in giro per il mondo, in un melting-pot di sonorità e di sapori che rimodellano completamente quella che è la tradizione napoletana, che pur sempre però rappresenta le loro radici, o per meglio dire la loro stazione di partenza. di Francesco Vaccaro Tracklist:
Line-up: Dario Sansone - voce, chitarra Ennio Frongillo - chitarra elettrica Giuliano Falcone - basso elettrico Luigi Scialdone - chitarre, mandolini, ukulele, banjo Giovanni Schiattarella - batteria Ospiti speciali: Edoardo Bennato - Armonica in “Gennaro è fetente” Ghigo Renzulli - Chitarra elettrica in “Aria ‘e mare” Daniele Sepe - Arrangiamenti fiati in “Famme partì” e “Buongiorno Sofia” Sito ufficale: http://www.fojaofficial.it/ Pagina Facebook: https://www.facebook.com/FojaOfficial/ ![]() Ci sono momenti in cui capita di pensare che alcune bands e prodotti di casa nostra non abbiano in realtà nulla da invidiare ai grandi acts americani (o del Nord Europa); ma tali considerazioni non devono far riferimento necessariamente ad una qualche forma di originalità abbagliante, ma semplicemente ad una agilità melodica freschissima ed una spontaneità compositiva istintiva. È questo certamente il caso della band milanese “Audyaroad”, che sfoggia in questo nuovo Lp “What is the Price?” un indie rock particolarmente spigliato ed affascinante, dove tutto sembra scorrere con apparente semplicità ed incantata emozione come in un sogno o in un viaggio. Il tema, gli arrangiamenti e l’atmosfera che percorrono tutte le 8 tracks rivelano un evidente omaggio agli States più selvaggi e genuini, con un’ammirazione che va a braccetto con la passione per le motociclette comune a tutti i membri del gruppo. Per gli Audyaroad si tratta inoltre dell’approdo all’inglese per quanto riguarda la loro discografia e l’occasione di inserire elementi rock/blues al loro sound indie, creando un impasto sonoro tremendamente diretto ed evocativo. Un riff pimpante come i pistoni di una Harley lanciata a tutto gas segna la spumeggiante apertura di “Mr. Dynamite”, che riesce a graffiare senza effetti o distorsioni, ma naturalmente grazie ad una linea melodica che va dritta a bersaglio già dal primissimo ascolto; l’emozionante itinerario nei grandi spazi americani prosegue grazie alla successiva “Flavour of Freedom”, come si direbbe in questi casi… un nome, una garanzia! , che si caratterizza per un basso pulsante ed i cori in primo piano; il rock godibile della band spara un’altra fucilata decisa grazie al cadenzato incedere della briosa “Just a Number”, prima del bilanciato mid-tempo di “Man without Soul”, un episodio più estroso che sfrutta delle scintillanti incursioni di tastiera; “Great Blue Wave” viaggia che è un piacere con il suo piglio deciso, tocca poi alla title-track, un brano più oscuro ed elaborato, dove anche la voce brillante di Marco J. Ferrara si fa più roca e ruvida; l’atmosfera si fa struggente tra i solchi della sognante “Thinking Back”, mentre “Hey Man” (il brano-faro del lotto e primo promo-single estratto) svolge il triste ruolo di chiudere – provvisoriamente, speriamo – la scorribanda selvaggia nel deserto sconfinato a stelle e strisce, riscaldando un’altra volta i cuori con tutta l’intensità dei colori limpidi del Southwest. Formati nel 2007 da un’idea del frontman Marco J. Ferrara, gli Audyaroad possono già vantare un “pedigree” di grande prestigio, viste le collaborazioni losangeliane del chitarrista Paul Audia con nomi del calibro di Billy Sheenan e Matt Starr. Anche per quanto riguarda la produzione di “What is the Price?” la band si è affidata ad un nome illustre come Pietro Foresti, già produttore di artisti membri di Guns’n’Roses, Korn ed Asian Dub Foundation. In conclusione un grande album di sano rock americano, da autoradio o da party, nel quale il gruppo infonde tutta la propria anima intensa e passionale , non sperate di non innamorarvene. Ivan Faccin ![]() Tracklist: 1. Mr. Dynamite 2. Flavour of Freedom 3. Just a Number 4. Man Without Soul 5. Great Blue Wave 6. What is the Price? 7. Thinking Back 8. Hey Man Membri del gruppo: Marco J. Ferrara (Vocal) Paul Audia (Lead Guitar) Pablo Ferrero (Rhythm Guitar) Matteo Bonassi (Drum) Francesco Sbrè Ravasio (Bass) facebook.com/audyaroad instagram.com/audyaroad ![]() Quando mi capita di recensire o intervistare un artista della mia terra, della Sardegna son sempre emozionata e orgogliosa. Noi sardi siamo orgogliosi e oggi lo sono in particolar modo perché per la seconda volta “incontro” Udde, che in primavera avevo intervistato; ora recensisco il suo album The Familiar Stranger.Udde è nato a Sassari, è un musicista polistrumentista appassionato di baroque pop e di black metal, suona per 10 anni la chitarra e i synth con la band psychedelic -prog Soyland Green, ma il gruppo si scioglie nel 2011. Udde decide di continuare a suonare per conto suo. Nel 2012 pubblica Fog, il lavoro viene accolto e recensito positivamente dai media musicali e tra il 2013 ed il 2015 registra quello che sarebbe dovuto diventare il suo primo LP, insoddisfatto del risultato, butta tutto nel cestino e volta pagina, producendo un altro lavoro ex novo. Ed ecco ora: The Familiar Stranger, album pubblicato il 31 marzo 2017 per l’etichetta PNR. L'album contiene undici tracce, composte, registrate e mixate dallo stesso Udde in completa solitudine, l’artista dice del disco: “Un disco pop, forse un po' spatinato, ma il pop da la possibilità di fare più o meno quello che si vuole, perché comunque rimane becero pop. The Familiar Stranger è “voyaeurismo” puro, senza giudizi, critiche, approvazioni, condanne e assoluzioni (sempre che il sarcasmo non sia di per sè un giudizio)”. I testi del disco riprendono la tradizione pop inglese (Kinks, Blur ed altri):sono semplici, diretti, se non addirittura elementari quadretti di vita provinciale. Si parla di vicini di casa, violenze e vendette, weekend freddi, dipendenze da bar, noie sentimentali, rozze madri adolescenti, emigrati in Germania, preti innamorati, puzza di fritto, chirurgia, tossici innamorati, famiglie numerose, deserti estivi. Ascoltiamolo insieme… “I Familiar Strangers, semplificando all’osso, sono le persone che conosciamo di vista, che vediamo spesso durante la nostra vita, ma che non conosciamo direttamente e profondamente. Dal titolo sono nati i testi, che parlano in maniera molto spicciola di vita di provincia: ho cucito delle storielle su alcuni “familiar strangers” della mia città (si va dall’emigrato, al tossico di fronte al supermarket, dai delinquentelli di periferia al prete). Man mano che i testi si delineavano mi sono accorto che stavo buttando giù quadretti un po’ squallidi, ed allora, per tenere fede al contrasto del titolo, ho scelto di arrangiare i pezzi in maniera un po’ patinata, come si faceva negli anni ‘80. Probabilmente c’è un po’ di manierismo ed artificio in questa scelta, ma la musica è un artificio. Il fulcro rimane per me il succedersi delle note. Il resto dev’essere di supporto alle note, non il contrario. Ovviamente, talvolta, anche il togliere delle note è funzionale. Nell’arrangiare il disco ho lavorato anche di sottrazione, che per me è stato un approccio totalmente nuovo”. (Stralcio della mia intervista a Udde) The Familiar Stranger è un disco che riprende i fasti dell’elettronica anni 80, della new wave e dell’electro-pop ricercata, oscura e sensuale. Si inizia con Same Old Song, cinque minuti che subito ci catapultano nell’essere di Udde e del suo lavoro, qui troviamo le linee di synth precise e scure ad esempio; le atmosfere dei brani sono decadenti, malinconiche specialmente quando arriviamo a Facelift e a Wait. Anche Neighboure, One heaven e Supermarket si ascoltano tutti d’un fiato. Quello che colpisce è l’immediatezza dell’album nella sua semplicità, non semplicità intesa come musica e suoni, ma come lavoro completo pur essendo stato concepito, scritto, prodotto e vissuto da una persona: Udde. Un artigiano della musica preciso, genuino che ha coinvolto nel progetto anche la sua famiglia, in omaggio al titolo forse, infatti le sorelle le ritroviamo qui come fotografe e modelle. Diciamo che questo EP è un Made in Sardinia strutturato e da assaporare come un buon bicchiere di vermentino. MONICA ATZEI ![]() Tracklist: Same Old Song On Heaven Facelift Tough Girls Wait Gloomy Friday Our Boundaries Summertown (And the Living Deseases) Neighbour The Bridge Carousel Supermarket Credits: Disco composto, registrato e mixato da Udde Mastering : Carl Saff, del Saffmastering di Chicago Foto e artwork: Chiara Porcheddu www.facebook.com/uddemusic https://www.instagram.com/uddemusic https://open.spotify.com/artist/358bzyyQbkRaYCtnPDaC8P www.youtube.com/uddemusic https://www.soundcloud.com/udde ![]() Musica senza confini e all’insegna della contaminazione quella della Med Free Orkestra. La band ideata da Francesco Fiore - nata a Roma nel 2010 - si compone di una quindicina di elementi, provenienti da cinque paesi di tre continenti diversi. Nel 2013 presenta il primo disco “Pensiero Mediterraneo” a cui segue nel 2014 “Background”. La proposta è un pop multietnico e multilingue realizzato con l’ausilio di percussioni, fiati, fisarmonica, violino, chitarre, tastiere e naturalmente le voci. Canzoni di impegno sociale ed energiche che, specie nei live, si mostrano nel loro aspetto trascinante. Esprimendo le tante diversità confluite e accolte nei paesi del Mediterraneo. Così come è avvenuto il primo maggio del 2015 e 2016, nel corso delle due edizioni del concertone organizzato a Roma. Numerose, negli anni, le collaborazioni con altri artisti interessati al progetto. Tra questi Ennio Fantastichini, Claudio Santamaria, Andrea Satta, Baba Sissoko, Paola Turci, Franky Hi-nrg mc, Yannis Vassilakos, Nobraino, Roy Paci, M’Barka Ben Taleb. Da citare a parte, per la profondità del legame, la collaborazione con lo scrittore Erri De Luca. Nel terzo album della Med Free Orkestra “Tonnosubito”, pubblicato nel 2016, ancora una volta la voglia di stare insieme si unisce alla sensibilizzazione sui tanti mali che affliggono il mondo. In un ricchissimo intreccio di note e ripetute variazioni di stile e atmosfere. “Balla” - scritta dalla cantautrice Claudia Fofi - è un invito al ballo nonostante le tante frenesie del mondo. “Social” è un brano sulla socialità telematica: “Nella rete io mi esalto dietro un nome da codardo. Senza un nome, da bastardo, mi nascondo dal tuo sguardo”. Versi cantati dal rapper Piotta, ospite insieme al trombettista Fabrizio Bosso. Quest’ultimo presente anche in “Mamma ha detto andiamo al mare”, storia di un viaggio disperato e il tentativo di mostrarlo divertente agli occhi di un bambino. “Marika” canzone ironica sul ribaltamento dei valori e sulla ricerca della felicità percorrendo le vie più facili. A cantarla è Matteo Gabbianelli dei Kutso. In “Esperanto” mondi musicali si alternano e dialogano tra loro creando un contrasto che è linguaggio utile a consentire l’intesa tra i popoli. “Try it!” è invece un brano reggae che, nel suo concedersi alle molteplici esigenze del gruppo, ben esprime la complessità dell’intero lavoro. Ovvero di un disco realizzato da una grande orchestra che lascia ampi margini alle collaborazioni. Come quella col sassofonista argentino Javier Girotto, il cantautore Leo Pari e il duo As Madalenas. La produzione musicale della Med Free Orkestra è il risultato di una commistione di generi. Generi anche distanti che, quando non totalmente amalgamati, instaurano tra loro una sorta di dialogo. In “Tonnosubito” si espongono in musica storie provenienti dai tanti sud del mondo. Difficoltà e tragedie da affrontare con la forza ma nel rispetto di tutti gli uomini. E con la giusta dose di necessaria ironia. Un album da gustare in tutte le sue tonalità, perché retto sempre da ritmi e melodie coinvolgenti. Sicuramente da continuare ad ascoltare, nell’attesa di un “immediato ritorno” della Med Free Orkestra con un nuovo disco. MASSIMO PIGNATELLO ![]() TITLE TRACK DEL DISCO: 1. TONNOSUBITO… 2. BALLA 3. SOCIAL 4. KEMO SANYANG 5. MAMMA HA DETTO ANDIAMO AL MARE 6. MEGLIO CANTARE 7. MARIKA 8. NESSUNO 9. ESPERANTO 10. LA SPOSA DI CERA 11. TRY IT 12. FLOR DO AMOR 13. DIFENDITI Line-up: Agnese valle (Voce e Clarinetto) Tess Amodeo Vickery (Voce e chitarra) Marwan Samer (Voce e Oud) Madya Diebate (Voce e Kora) Daniele Di Pentima (Batteria) Riccardo Di Fiandra (Basso Elettrico) Valerio Guaraldi (Chitarra elettrica) Alessandro Severa (Fisarmonica) Ismaila Mbaye (Percussioni) Angelo Olivieri, Francesco Fiore, Alessio Guzzon (Trombe e Flicorni) Andrea Angeloni (Trombone e Basso Tuba) Vincenzo Vicaro (Sax e Clarinetto) Emiliano Bonafede (ukulele e elettronica) http://www.medfreeorkestra.com http://www.facebook.com/pages/Med-Free-Orkestra/129980107022923 https://twitter.com/MedFreeOrkestra https://www.youtube.com/channel/UCfD2-wv8wEax8JcHY_iBF7A http://plus.google.com/u/0/117121874274942520533 Il 29 settembre 2017 è uscito per Columbia Records, l’ultimo album Live della carriera di David Gilmour, registrato nella splendida cornice dell’anfiteatro di Pompei lo scorso anno. Prodotto dallo stesso artista, che ha curato anche il mixaggio in collaborazione con Andy Jackson. Il cofanetto si compone di un doppio CD ed un booklet di immagini di backstage ed istanti rubati al concerto. |
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Febbraio 2019
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