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VALENTINA LUPI – Intervista alla cantante

VALENTINA LUPI – Intervista alla cantante

Valentina Lupi, cantautrice romana attiva sulle scene musicali dal 2000, ha recentemente pubblicato il suo terzo lavoro, l’EP Partenze Intelligenti che consta di cinque tracce davvero ben realizzate. Del suo album, della sua musica e di molto altro ancora abbiamo discusso in quest’intervista che Valentina ci ha gentilmente rilasciato.

Ciao Valentina, grazie per il tempo che ci stai dedicando. Innanzitutto, ti andrebbe di raccontarci un po’ la genesi del tuo ultimo lavoro, Partenze intelligenti?
Innanzitutto è un disco molto casalingo, nato da lunghissime chiacchierate con Matteo Scannicchio che è l’autore principale dei brani, solo Reduci infatti è stata scritta da me ma sempre con la sua collaborazione. È un disco molto tranquillo, non abbiamo avuto delle pressioni di tipo discografico sui tempi da rispettare. Semplicemente ci vedevamo in questi pomeriggio e parlavamo tantissimo perché Matteo è uno dei miei migliori amici e mi è stato sempre accanto dai tempi di Non voglio restare Cappuccetto Rosso, il mio primo album che lui ha riarrangiato. A differenza degli altri dischi, per i quali mi vedevo con la band in studio, questo è stato fatto sul divano col computer in maniera molto rilassata e con dei tempi molto lunghi, ci abbiamo messo un anno in quanto non ci vedevamo spesso specificatamente per lavorare all’album. Ci vedevamo come amici, avendo anche amicizie in comune, io andavo ai suoi concerti, io continuavo a fare concerti…lui poi questo disco l’ha proprio costruito su di me perché è frutto di tutti i miei racconti, delle mie esperienze, proprio delle mie confidenze. Lui faceva questi “riassunti” e mi telefonava dicendo “Senti ho scritto questo pezzo, vieni che lo facciamo!”. È stato un po’ così, molto naturale.

Hai citato Reduci, brano nel quale si parla di guerra. A cosa ti riferisci? È un conflitto effettivo oppure una “guerra interiore”?
Esatto, è una guerra dei sentimenti. Avevo concluso una relazione e stavo a pezzi, alla fine è tutto nato da Reduci perché è il pezzo in cui faccio un po’ il resoconto, il brano da cui si riparte e si ricostruisce tutto. È il reduce che torna a casa, io dicevo a Matteo che mi sentivo come se fossi tornata da una guerra, come se avessi perso tutto e tutti, poi la mia vita è sempre stata un po’ così avendo perso presto anche i miei genitori. Quindi, avendo perso anche quella relazione mi sono sentita distrutta da tutto quello che era accaduto. Parla appunto della fine di un conflitto d’amore ma anche della vigliaccheria, dell’omertà che c’è alle volte alla fine di una storia perché c’è sempre chi fugge, chi non ha il coraggio di dire determinate cose. Dico infatti nel pezzo “sarebbe perfetto imitarti” perché magari soffrirei di meno. È tutto molto collegato perché anche “Partenze intelligenti” è legata a questo discorso, infatti quello che annuncio in Reduci poi concretizzo alla fine in Partenze ovvero il fatto di andare via da una situazione che non ti appartiene più, che non ti da più niente, che è diventata sterile e stagnante. Bisogna fuggire da tutto questo, bisogna partire per primi, non per scappare ma per scegliere finalmente, per dire “Adesso scelgo per la mia vita e decido di salvarmi”.

Quindi tu con l’aggettivo “Intelligente” riferito alla partenza intendi la consapevolezza e la decisione di “andare via” per auto-preservarsi?
Bravissima, è proprio così. La partenza intelligente è proprio questa, capire prima quello che poi dovrebbe accadere. Poi noi donne in questa cosa siamo molto sensibili, spesso avvertiamo prima la crisi e che determinate cose stiano per rompersi, venendo spesso considerate paranoiche. Bisogna sempre, secondo me, fare la scelta prima che accada tutto questo…prima di toccare il fondo insomma. L’ho fatto altre volte ma adesso proprio no, i miei 34 anni mi hanno portato ad essere un po’ più pronta su queste cose, a capire subito l’andazzo e a scappare (ride) No vabbè, scappare no. Diciamo più che altro a “decidere” ecco.

Torniamo a Reduci. Ecco, un reduce può appartenere allo schieramento vincente o a quello perdente. Col senno di poi, ti senti un reduce che ha vinto o che ha perso?
Mah, io mi sento sempre un reduce che ha vinto perché non sono mai scesa a compromessi che hanno leso la mia dignità di essere umano. È questa la cosa che alla fine mi ha fatto sentire vincente. Poi nei rapporti, sembra banale, ma non c’è mai chi vince o chi perde, chi ha ragione e chi ha torto…ognuno ha la sua interpretazione delle cose, un po’ come diceva Nietzsche, che non esistono fatti ma solo interpretazioni. Anche se ovviamente ci sono cose che sono oggettivamente deprecabili ad esempio, e  non è il mio caso, un uomo che picchia una donna. Però ci sono delle violenze psicologiche che sono molto sottili e che possono fare molto peggio dei pugni e dei calci. Quando viene a mancare il rispetto, in qualsiasi tipo di rapporto, bisogna cambiare rotta, separarsi e trovare strade più consone al proprio percorso.

Facendo riferimento ai tuoi lavori passati, Non voglio restare Cappuccetto Rosso ed Atto Terzo, io ho notato dei ricorrenti riferimenti alla letteratura: Casa di bambola, Fiori del Male…a proposito di questo, come influisce e come ha influito la letteratura sulla tua produzione musicale? Se è stato, appunto, un fattore importante nella tua vita.
Lo è stato tantissimo soprattutto nell’età più giovanile perché Non voglio restare Cappuccetto Rosso è un disco che è nato dopo l’esame di maturità, quindi ho iniziato a scrivere canzoni sui banchi di scuola e già suonavo con  Matteo perché avevamo la classica “band del liceo”. In quel periodo della mia vita la letteratura era fondamentale perché ero innamorata di un tipo di scrittura sognante, molto romantica. Ovviamente a quell’età credi in determinate cose e le senti anche molto più forti, anche perché sono le tue prime esperienze. Leggere Baudelaire e tutti i poeti maledetti, Nabokov a quell’età mi colpiva molto di più. Poi io ho fatto anche il liceo classico, quindi certe cose le ho sentite davvero tanto. Mi viene spesso da pensare, quando ascolto Acidi e Basi dei Bluvertigo, che anche Morgan scrisse quei pezzi  subito dopo il liceo infatti mi riconosco parecchio in quei toni decadenti, quei riferimenti alla storia medioevale…fra l’altro ho fatto anche Lettere all’università. Adesso la letteratura non posso definirla “meno importante”, però c’è la vita, le cose del quotidiano dalla spesa alle bollette. La letteratura quindi ha un altro tipo di posto, non più quello principale che aveva prima.

Sicuramente per un certo tipo di adolescenti la letteratura risulta essere una sorta di locus amoenus nel quale rifugiarsi.
È così, si tratta di un punto di riferimento importante anche perché poi loro si chiedevano le stesse cose che ci chiediamo noi. Anche Filosofia per me è stata fondamentale: da Spinoza in poi mi sono fatta certe chiuse! Poi vabbè, non parliamo di Schopenhauer che adoravo anche se non sopportavo la sua visione dell’amore legata solo alla riproduzione. Poi Nietzsche…

I tuoi tre album sono molto diversi fra di loro. Durante questo percorso, com’è cambiato e come si è evoluto il tuo approccio nel fare musica?
Prima l’approccio era sicuramente più istintivo, forse anche meno curato per certi versi, più “urlato”. Comunque è stato un processo di cambiamento che è andato di pari passo col mio processo umano di evoluzione, sono cambiate anche le sfumature della voce in quanto adesso c’è uno studio più attento. Per dirti, adesso insegno anche canto e mi sto rendendo conto rapportandomi coi ragazzi che dietro c’è proprio un mio approccio diverso anche se prima studiavo comunque in Accademia, però non lo avevo ancora metabolizzato tanto. L’emozione di salire sul palco, quello di entrare in studio di registrazione…le gestivo in modo molto diverso. Adesso è una gestione molto più consapevole. Certo, l’emozione c’è sempre in quanto ogni volta che salgo sul palco mi maledico dicendomi “Perché l’ho fatto? Mi sta scoppiando il cuore!” ma c’è naturalmente una consapevolezza più matura. Anche l’approccio strumentale è diverso, prima si trattava del solito quintetto da rock band che arrangia i pezzi adesso c’è uno tipo di approccio che va anche a togliere tanti strumenti e si concentra di più magari sull’essenziale, sulla forza della voce o anche su di un solo synth o su di una batteria elettronica col suo beat costante. Si spogliano un po’ le cose per rivestirle dell’essenziale. Che non significa che non sia curato.

No anzi, volendo ci vuole anche una cura maggiore
Beh si, perché si sentono di più le sfumature. Non è decisamente una scorciatoia.

Effettivamente quando l’artista suona, ad esempio, in acustico le difese stanno a zero, là si capisce veramente il valore del musicista
Assolutamente. Per dirti, quando uscì Lady Gaga ho detto “Vabbè, questo è palesemente super costruita” invece poi vedendola suonare dal vivo accompagnata solo dal piano mi sono resa conto che è eccezionale oltre ad avere una grande personalità. È vero, è una prova del nove.

Per quanto riguarda la tua formazione artistica, come ti sei avvicinata alla musica?
Mi sono avvicinata alla musica attraverso mio padre che amava tantissimo la fisarmonica, quindi a 8 anni mi ha costretto a studiarla. Molto bella, col tempo poi rivaluti tutto ma immagina quanto possa essere traumatica per una bambina di 8 anni i cui amichetti suonano violino o chitarra mentre tu devi incollarti sta’ fisarmonica di 50 kg. Infatti poi dissi a mio padre “Guarda papà, se non vuoi vedere tua figlia suicida fai qualcosa” e allora mi propose di studiare il pianoforte. Iniziai dunque a studiarlo in ambito classico e poi mi sono trovata nell’ambito di varie feste nelle quali ho iniziato a canticchiare, mio padre mi ha sempre spronato accompagnandomi ai vari concorsi e da lì ho iniziato a cantare. Durante il liceo ho conosciuto il blues e nel frattempo mio padre è venuto a mancare, cosa che mi ha spinto ancor di più a proseguire gli studi musicali in quanto lui ci teneva tanto. Ho iniziato ad ascoltare i  cantautori poi, quindi martellate su martellate, pugnalate al cuore con De Andrè, Fossati, De Gregori…ho fatto dunque un buono studio su di loro, sulla musica blues e jazz dato che avevo iniziato a cantare in cover band di Janis Joplin. A 15 anni già stavo in una formazione di trentenni che facevano blues. Poi ho conosciuto Matteo, abbiamo formato questo gruppo del liceo e piano piano ho iniziato a scrivere pezzi miei che arrangiavo con Matteo ed altri amici. Fra l’altro Matteo veniva anche a scuola di musica con me, è stato davvero un percorso che io e lui abbiamo fatto a stretto contatto, eravamo e siamo come fratello e sorella difatti dico sempre che lui è “il fratello che non ho mai avuto”. Poi dopo sono passata a Battiato, ai Radiohead, Moloko…i miei ascolti sono molto vari, mi posso considerare “onnivora di bella musica”, passo dal cantautorato, al rock, all’elettronica, al jazz. Ascolto anche tanto pop italiano ed internazionale, mi piace tanto il rap. Fra l’altro io sono stata una delle prime romane a “navigare” nel mondo rap in quanto facevo la corista per alcuni gruppi romani degli anni 90. Mi piace molto Piotta ad esempio, che è una persona intelligentissima e nutro grande stima nei suoi confronti. Dei più recenti mi piace Rocco Hunt, trovo che sia un autore veramente forte, molto credibile e vero. Mi affascina il “potere della parola”, penso che alcuni rapper siano i futuri cantautori. Mi fa sorridere il fatto che il rap sia esploso ora in maniera pazzesca quando poi nel 95/96 facevamo una gran fatica a far ascoltare questo tipo di musica. Pensa che il ragazzo che al live ha suonato il sassofono, Augusto Pallocca, è stato uno dei primi rapper della provincia romana e faceva queste demo, col nome d’arte di AKU, all’interno delle quali c’era anche Fabri Fibra, Le Scimmie del Deserto, i Colle Der Fomento, i Flaminio Maphia… il fatto che sia diventata una moda mi fa ridere se ripenso a quanto all’epoca veniva preso in giro per i suoi calzoni larghi! Quindi ecco, non ho preferenze musicali. Mi piace ascoltare musica bella, il genere non ha importanza.

Per concludere, riprendo un brano tratto da Non voglio restare Cappuccetto Rosso: Voglio essere felice. Ti puoi considerare felice adesso?
Beh, sì. Sì perché ho capito che la felicità non è quella che immaginavo in passato. Posso dire di essere felice adesso perché comunque la felicità è qualcosa di molto più semplice, di molto più quotidiano. È fatta di tanti piccoli pezzetti e mi rasserena già il fatto di aver dato un po’ di pace a quel lupo che alla fine del disco chiedevo “di abbracciare”, quel lupo che poi sarebbe quella parte malata che abbiamo un po’ tutti e che ci fa disperare. Il fatto di averla, in un certo senso, riabbracciata senza più vederla come un’antagonista mi da sicuramente felicità e pace.

ELIANA SCALA

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