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Un Tè con Zack – Intervista al cantante degli Exalt Cycle

Un Tè con Zack – Intervista al cantante degli Exalt Cycle

Incontrato all’inizio dell’anno in occasione del “Rock Against Cancer” – Cowboys for Dimebag, evento benefico volto alla raccolta solidale di fondi per la Ricerca contro il Tumore,  rivedo con piacere per la Redazione di TuttoRock, Zack, cantante ed anima degli Exalt Cycle, band italiana esponente del Nu-Metal. Parlare con lui è un’esperienza che ricorda la quiete distensiva del deserto, in cui l’orizzonte si riempie di variabili creative all’interno dello stesso elemento: la musica. Persona poliedrica appassionata anche di fotografia, come si può vedere da alcuni suoi scatti qui inclusi.

Ciao Zack, è un vero piacere rivederti. Mi piacerebbe conoscere di più circa le vostre canzoni, perché a differenza delle altre band, vi distinguete in modo prepotente per il contenuto di “protesta” e le tematiche di attualità.
Questo disco è stato un modo diverso di scrivere, che toccava problematiche che forse affrontiamo tutti, dal punto di vista di un ragazzo di 25 anni.

Questa visione si stacca comunque molto dal punto di vista forse più superficiale che molti potrebbero avere, il vostro progetto a livello musicale è molto originale, voi siete esponenti del Nu-Metal in Italia, un genere non così diffuso, che appartiene a scenari anglosassoni, piuttosto che americani e quindi questa vostra influenza particolare, unita ad una musica molto incisiva di riff di chitarra e batteria, tu hai un cantato molto espressivo, il testo delle canzoni è “violento” e tutto questo si riassume in un progetto che è molto unico nel suo genere…
Sono sempre stato amante dell’innovazione, a 12 anni mi dedicavo all’Hip-hop, nella stanza di casa registravamo per divertirci. Poi abbiamo iniziato a suonare, verso la fine dei “Rage against the machine”, che portavano con sé lo strascico degli anni ’70, Morello è unico in questo. Innamorato di questa band, volevo far qualcosa che potesse funzionare in quella stessa direzione, cercando un suono. Avevo 16 anni. Ogni cosa che scrivevo era quasi un “viaggio paranormale”, ma successivamente crescendo il tutto ha preso forma.

Siete stati molto all’estero…
Si, sarebbe bello poter fare di più all’estero. Non mi nascondo dal dire che in Italia c’è moltissima roba, ma è come se esistesse un imbuto e filtra pochissimo.

Sono state queste difficoltà riscontrate a portarvi in America per l’incisione del vostro album o si trattava di un vostro desiderio?
L’America in quel momento era il punto di riferimento per questo genere, quindi volevamo avere un suono di quel tipo, in Ohyo Martinez è uno dei numeri uno, ha lavorato con tantissime band che hanno siglato contratti con RoadRunner e Sony. Quindi lo abbiamo contattato e dopo circa 5 mesi siamo partiti per questa pazzia… ma non era pazzia, si trattava di vivere 12 ore in uno studio di registrazione, non è la vita normale che fai qui.

Siete stati soddisfatti del risultato?
Abbiamo spedito a lui alcuni pezzi e ci ha risposto indicando quali a suo avviso fossero le migliori. In studio jammavano, stravolgendo delle carte che sembrano immobili sul tavolo, perché per noi i pezzi erano perfetti così. Ma dietro suggerimento, abbiamo sentito che la musica stava andando in un’altra direzione e quindi è stato un processo creativo, che ha stravolto 4 pezzi su 5. Io stavo sveglio tutta notte, non riuscivo a fermarmi e mi giravano continue idee in testa, dovevo fermarmi per non perdere nulla. Ho compreso l’importanza di avere un produttore, non tanto perché ti stravolge ciò che hai in testa, quanto perché se si lavora sulla stessa lunghezza d’onda, può nascere qualcosa di nuovo ed aiutarti ad esprimere.

Qual’è il tuo brano preferito all’interno dell’album?
Sono molto legato a “Through the time”. È stato il primo vero brano di sperimentazione e transizione stilistica per noi, si trattava di uno dei 4 che abbiamo capovolto interamente.

È un brano molto diverso dagli altri in effetti…
Si. Ad eccezione del main riff, tutto il resto è frutto del lavoro fatto in studio. Inoltre è l’unica canzone che parla d’amore. Non non facciamo ballads, ma il messaggio dietro a questo pezzo in effetti è l’amore. L’attitudine è quella. Parla del concetto di amore, di quel sentimento che ti tiene legato anche a distanza, anche quando il corpo non è più qui, come è successo a me, nel momento in cui ho perso mio padre. Ancora adesso mentre scrivo sento la sua presenza, mi indica cosa scrivere, chiamalo sesto senso… Quindi in quel periodo avevo unito una situazione per me complicata, un momento di passaggio, nonostante io ora stia bene, questa canzone fa parte di me.

Credo che nel momento in cui uno è più “autentico” con sé stesso, esprima il vero sé, riesca a dar vita all’arte più vera, quella che può essere letta e percepita da tutti, perché diventa “universale” nel contenuto. Tu hai una grandissima capacità di comunicazione, che si intuisce anche dalle tue performance sul palco, così cariche di vitalità e d’impatto.
Sono sempre stato a mio agio sul palco e sfogo tutta l’adrenalina che poco prima sento salire, come nel caso del Live di Trezzo con I Cowboys for Dimebag, una situazione esplosiva.

Quali sono i progetti per il futuro?
Negli ultimi anni abbiamo scritto un disco, io ed il mio bassista, per gli Exalt Cycle. Alla matrice sonora che ci contraddistingue, abbiamo aggiunto delle nuove influenze, che definirei ambient, in alcuni casi addirittura la canzone non prevede chitarre distorte, come è sempre stato in passato. Il mio modo di cantare è cambiato, perché ho tentato di dar voce a ciò che avevo dentro e gli ultimi 2 anni sono stati piuttosto psicopatici in senso positivo e negativo. Ho spaziato dai Prodigy a Ritchie Kotzen… Quindi nel prossimo periodo registreremo il nuovo album.

Pensate di rivolgervi nuovamente all’estero?
È possibile. Al momento stiamo valutando diversi produttori. Attualmente sono anche impegnato nella realizzazione del mio primo album solista, che contempla l’uso di un violino, viola, diversi strumenti acustici ed i brani sono quasi tutti pronti ed amante dell’effettistica vocale, sto valutando come utilizzarla senza eccedere.

Le nostre chiacchiere d’amici continuano con la tranquillità di una tazzina di tè berbero aromatizzato alla menta, mentre si discorre di frequenze animiche “Il Misticismo del suono” e ritmi tribali… dopo le quali ci salutiamo.

ELENA ARZANI

http://www.exaltcycle.net
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