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Intervista a Luca Facchini regista di Fabrizio De Andrè – Principe Libero a cura d …

Intervista a Luca Facchini regista di Fabrizio De Andrè – Principe Libero a cura d …

Intervista a Luca Facchini
regista di Fabrizio De Andrè – Principe Libero
a cura di Elena Arzani

In occasione della presentazione alla stampa del film dedicato al cantautore italiano Fabrizio De Andrè, prodotto da RAI Fiction e BIBI Film, ed interpretato da Luca Marinelli, abbiamo approfondito per i lettori di TuttoRock il discorso, in una piacevole conversazione con il regista Luca Facchini.

L’eredità artistica di De Andrè è molto onerosa. Come è stato preparato il film in questi 9 lunghi anni di gestazione? Come avete proceduto alla selezione delle parti da inserire e deciso quali omettere?
Ricordarsi quali parti abbiamo lasciato fuori, è un grosso sforzo. Posso dirti che abbiamo scritto quattro film. All’inizio abbiamo individuato la struttura, quello che gli scrittori hanno chiamato “hardware”. L’aspetto della voce di Fabrizio è stato di grande difficoltà. La sua “impronta digitale” – come l’ho definita durante il lavoro di sceneggiatura – che è irripetibile. Quindi all’inizio non sapendo che Luca avrebbe interpretato il film,  nè che avrebbe cantato, avevamo cercato soluzioni per raccontare Fabrizio senza mai far cantare l’interprete, perchè non avrei mai messo un doppiatore. Quindi questo è stato uno dei vari passaggi fondamentali per la definizione del film, non il principale, che ci ha permesso di trovare molte soluzioni creative per il personaggio. Un lavoro come questo, può considerarsi il mio esordio. Sono ovviamente tanti anni che lavoro però su un livello diverso. Ciò in cui mi posso riconoscere maggiormente è un documentario su Fernanda Pivano, realizzato 18 anni fa con Fandango. In quell’occasione avevo conosciuto Dori, che era venuta a cantare il suonatore Jones, poi ho conosciuto la PFM e siamo diventati amici. Avevo già in mente di fare un film su Fabrizio, ma non sapevo se si sarebbe trattato di un documentario od un un film.  Fabrizio lo porto con me da sempre, potrei considerarmi non un ortodosso ma certamente un Deandreiano.  Mi ha accompagnato tutta la vita fin da quando avevo sette anni o sei e mia madre me lo faceva ascoltare.
Tornando al film, una volta individuata la struttura, trovato il punto di vista che ci interessava e che 
ci regalava la figura di Fabrizio, così come pensavamo che fosse corretto raccontarla, nell’assoluta dedizione, passione, con la sensazione di essere di fronte ad una montagna e quindi coltivando sempre anche il dubbio di essere nel giusto; abbiamo iniziato a collaborare con Dori, la RAI ed Angelo, condividendo il lavoro e cercando un compromesso, che da parte di tutti è stato sempre trovato di comune accordo in qualità di “compromesso alto”, provando a raccontare la stessa cosa che talvolta non convinceva in un’altra forma. Quindi non abbiamo mai abbandonato per così dire i capisaldi della sceneggiatura, nè i capisaldi della storia, li abbiamo semplicemente rifrassati, se posso usare un termine di questo tipo.
Giordano e Francesca hanno fatto un bellissimo lavoro, io ho collaborato alla loro sceneggiatura ed al soggetto, per tanti anni ci siamo incontrati in stanzine buie per raccontarci il nostro Fabrizio privato, che forse non avrebbe mai visto la luce, non c’era certezza nemmeno di quello insomma. Successivamente quando ho visto “Tutti i santi giorni” di Paolo Virzì, in cui recitava Luca Marinelli, mi sono detto “lui è Fabrizio”, era il 2012.

Tra l’altro lui ha recitato anche in Jeeg Robot, in cui interpreta un personaggio totalmente diverso, in un certo senso cattivo, quindi la tua poteva essere una scelta molto controversa, diciamo audace.  Un attore che magari nell’immaginario collettivo si era ritagliato una nicchia leggermente diversa, pertanto più che soffermarmi sulle critiche legate all’accento romano, che personalmente non ho trovato così rilevante, data la grandissima performance, mi domandavo se è stato difficile lavorare e costruire con lui un personaggio come De Andrè o è avvenuto in modo naturale?
È molto difficile che avvenga in modo “naturale”, ma diciamo che con Luca si va molto vicini. Quando l’ho visto nel film di Virzì, ho riconosciuto un talento assoluto, momento dopo il quale non ti domandi più se è cattivo o buono, alto o basso.
​Il talento assoluto permette di fare qualsiasi cosa.

Su questo punto ho sempre avuto le idee molto chiare. Tutti i film di Luca hanno una caratteristica molto forte che lo definisce, sempre vicino all’edge, al bordo, invece in questo film, ha un lavoro molto diverso da qualsiasi altro ruolo abbia interpretato, perché è tutto in sottrazione, è tutto molto naturalistico. Luca ha capito profondamente Fabrizio, ha incontrato Dori, con la quale ha trascorso più tempo possibile, perché nella costruzione di un personaggio reale l’aspetto dell’osmosi conta parecchio ed assumi informazioni anche e semplicemente nell’essere in un ambiente. Lui ha aggiunto il suo assoluto talento all’interno di questa vicenda, l’unica cosa che ci siamo detti è stata: “cerca Fabrizio dentro di te”, perché essendo anche lui amante di De Andrè aveva un suo Fabrizio interiore, pertanto è riuscito a proporlo, io l’ho trovato corretto, abbiamo quindi lavorato insieme su quella linea.

So che hai potuto beneficiare della lettura dei testi da parte di Paolo Villaggio e sicuramente ci sarà stata anche una collaborazione diretta con Fernanda Pivano, avendo lavorato con lei precedentemente. Com’è stato lavorare con Dori, che da un lato è testimone di una grandissima parte del vissuto di De Andrè, essendo inoltre musicista lei stessa ed avendo una comprensione della sua arte ben diversa dagli altri, ma dall’altro essendone anche la moglie, con una visione piena d’amore, che forse si distacca un po’  da quella oggettiva. È stato difficile per te arrivare ad imporre o perlomeno a comunicare un punto di vista più distante ed oggettivo del personaggio? No. Dori è una donna molto intelligente e concreta, si trattava della prima volta in cui si affacciava al mondo del cinema, ma queste sue qualità, unite alla sua disponibilità l’aiutano molto a comprendere il meccanismo delle cose. Quindi non è stato fatto difficile, anzi è stata di grande supporto, avevi la reale fonte di informazione di quello che tu stavi girando. Non ci sono mai stati problemi, al contrario anche questa opportunità, si traduce in un aspetto positivo del film, che ha potuto beneficiare di una fonte così autorevole. Noi non abbiamo raccontato la vera storia di Fabrizio, abbiamo tradito in qualche punto, ma questo è un aspetto necessario, per amplificare la grandezza di un personaggio. Lo abbiamo fatto a fin di bene ovviamente non per denigrare, per cui se certe cose non corrispondono alla realtà bensì a verosimiglianza, vestendola in modo intelligente ed adattandola al personaggio nel rispetto totale, fine condiviso da ciascuno di noi. Io non sono andato da Paolo Villaggio, è stata Dori a mostrargli la sceneggiatura.

Questa forma di rispetto assoluta verso la persona traspare costantemente ed è molto simile a quella che aveva De Andrè nei confronti dei suoi personaggi.
Lui è stato d’ispirazione, quando parla delle traduzioni di Dylan, o Cohen o di Brassens ad esempio, afferma sempre di tradirli allo scopo di evitare una traduzione pedissequa ed inutile.

Fernanda aveva fatto la descrizione giusta di lui: “Si dice che Fabrizio sia il Bob Dylan italiano, io non sono d’accordo. Secondo me Bob Dylan è il Fabrizio americano.” 
Sorrido perché è la stessa frase che uso sempre io
Trovare un poeta che traducesse De Andrè ed iniziasse a cantarlo in inglese, è una fase che mi piacerebbe molto vedere come fan, perché ha dei testi così belli.

Fernanda è stata una maestra di vita per me e non solo. Lavorare al film su di lei, mi ha permesso di avvicinarmi anche al mondo di De Andrè.  Lo sentivo in maniera intima e personale, poi è seguito anche l’incontro con Dori, che ha portato fino a qui. Questo film ha migliorato la mia vita ed è eccezionalmente importante, non solo perché trattò di un uomo meraviglioso, ma perché è la sintesi di tanti anni della mia personale passione per queste persone, quindi se traspare la mia grande ammirazione in fondo ne sono felice, anche se non ho mai lasciato che mi annebbiasse la vista. Trattiamo de Andrè come un uomo, una persona vera. 

Fabrizio de Andrè, nella nostra tesi, è questa persona perché: ha avuto una buona famiglia; viene da quella storia di persone intelligenti, intellettualmente corrette, con grandissimo senso dell’etica, tralasciando il discorso dell’estrazione sociale che non ci interessa, anche se è comunque parte di questa vicenda umana. Un Padre come quello di Fabrizio, che riveste un posizione importante a Genova e che cerca di dialogare con un figlio che sembra perdersi, ma che al contrario si è costruito su una scala apparentemente opposta alla sua. Nonostante questo i due riescono ad avere una comunicazione costruttiva, finalizzata allo scambio di opinione fino alla morte del padre. Un aspetto molto importante, che dovrebbero imparare molte famiglie.  Non abbiamo inserito nel film, il fatto che Fabrizio scrivesse delle lettere ai genitori, quando litigavano. Lettere bellissime, che abbiamo omesso, perché non c’era lo spazio, abbiamo invece inserito il fatto che i genitori lo avessero lasciato fuori dalla porta, perché era uno scapestrato, ma lui ribatteva, scrivendo e spiegando le sue motivazioni ai genitori, perché fin da giovane aveva una personalità molto forte e delineata. Secondo me ha sempre avuto il desiderio di libertà, ma nella giustizia. Quando i desideri non vanno contro la giustizia sono permessi, quando la bramosia non si cura di andar contro ai principi, allora stiamo parlando d’altro.  Invece in questo ambito, la tematica è affrontata in modo preciso, quindi diventa di grande rilevanza a livello educativo, influenzandolo a diventare diventare la persona che poi è stato. 

Come mai hai deciso di aprire il film con un incipit così folgorante come il momento del sequestro? Scelta stilistica o identifica un punto di svolta, che ha particolare significato a tuo avviso? Si tratta sicuramente di una scelta stilistica, nel senso che non si può ignorare che quel fatto sia accaduto, per chi conosce la vicenda di Fabrizio e Dori, situazione dalla quale sono entrambi usciti rafforzati nelle loro idee, perdonando i loro carcerieri, tornando a vivere nella loro stessa casa. “Noi non siamo dei rapiti che fanno i cantanti – dicevano – bensì cantanti che sono stati rapiti ed ora devono suonare concerti per pagare i debiti”. Dal punto di vista drammaturgico è un fatto forte, pertanto è giusto che se ne faccia menzione.  Questo film nasce per la televisione, è un linguaggio che, se vogliamo, appartiene a quella logica.

La scelta dei campi larghi rappresenta il tuo desiderio di creare un film, non un documentario. Si. Abbiamo lavorato sperando di poter uscire al cinema, pertanto ho utilizzato un linguaggio, che ritenevo più cinematografico possibile. Ci sono pochissimi primi piani, non indugiamo su aspetti commoventi, cerco sempre di collocare i personaggi nell’ambiente che li descrive, perché se fai un buon lavoro, la scenografia, il costume, la scelta della location, anche quelli diventano un personaggio da mostrare. Il lavoro di luci è stato meraviglioso. È un aspetto fondamentale per raccontare lo stato d’animo di un personaggio. Ho chiesto dei grandissimi sforzi alla mia trouppe, che ha lavorato con dei tempi televisivi, il risultato è stato eccezionale. Ad un certo punto forse abbiamo superato il film di genere ed anche “di mezzo”, facendolo – senza apparire presuntuoso – meglio per meritarci l’uscita nelle sale. Questo film va al cinema, perché ha una qualità oltre ad avere il nome di un artista indiscusso.

Con tutto il materiale girato, avrai dovuto tagliare molte scene, c’è pertanto la possibilità che esca una versione “Director’s cut”?
No, in quanto considero già questa la versione Director’s cut. Il materiale tagliato è stato eliminato in quanto non funzionava all’interno del film. Come modus operandi ho sempre e solo un’idea in testa, ossia vince l’idea migliore.

All’interno del film si sviluppano due piani narrativi, quello biografico e quello relativo all’opera musicale. Le canzoni scelte assumono il grande valore di spina dorsale del film, divenendone l’unica colonna sonora. Come avete selezionato i brani? La selezione dei brani è stata un lavoro durissimo condiviso con Dori, che ovviamente sul profilo musicale è una autorità. Mi circondo di persone specializzate, perché questo mi mette nella condizione di poter creare qualcosa di alto livello. Perché è importante lavorare imparando, non temo il confronto, in quanto ho un’idea chiara del mio lavoro e di come svolgerlo. Dori, per esempio, è super colta musicalmente, ma in generale bisogna saper ascoltare, cogliere, rubare, mettere. A volte abbiamo usato musica, che non era ancora stata scritta rispetto al periodo che stavamo mostrando, anche perché noi terminiamo il film molti anni prima della scomparsa di Fabrizio, non c’è neanche quest’idea che sia scomparso, quindi tutta la sua opera musicale aveva uguale dignità all’interno del film, senza una necessaria filologia che ci tarpasse le ali. La musica non deve fare da controcanto alla scena, spesso va off-beat. Personalmente sono legato a quel momento del film in cui Fabrizio torna in albergo in inverno, ma non trova Dori ad aspettarlo, dopo essere corso a casa da Puni, perché il figlio Cristiano è stato picchiato da un altro bambino. Vorrei sottolineare due fattori importanti: uno è relativo alla straordinaria capacità di Marinelli, l’espressività di un attore, che riesce ad essere incredibilmente comunicativo anche quando non parla; in questo film ci sono delle inquietudini espresse dal silenzio, che Luca riesce a gestire in scena raccontando moltissimo. Abbiamo cercato di accompagnare quei momenti, che secondo me sono molto forti, con delle musiche. Tutto il cast ha fatto un lavoro pazzesco. Non ho dubbi su nessun attore del film, non avrei potuto chiedere di meglio a nessuno di loro, dai ruoli maggiori a quelli più piccoli, che sono stati interpretati con incredibile passione. Io ho gestito il tono, affinchè fosse costante tra tutti, un senso di forte credibilità, caratteristica che si ottiene con dei grandi attori.
Senza Angelo Barbagallo tutto questo sarebbe stato impossibile, senza la stima di Dori in prima persona, la RAI ha fatto un lavoro splendido, la struttura di RAI fiction ha collaborato in modo coinvolgente, senza il cui contributo, non avremmo potuto raggiungere questo risultato. 

​Ti ringrazio per il tempo dedicatoci, Luca ed in bocca al lupo per il film!
Crepi il lupo!

(a cura di Elena Arzani)

A questo link, la recensione del film “Fabrizio De Andrè – Principe Libero” a cura di Elena Arzani: https://www.tuttorock.net/recensioni/fabrizio-de-andre-principe-libero


Autore

Elena Arzani
Art director, fotografa e giornalista. Masters di Laurea in  Communication Design, and Arts (Central St. Martin’s di Londra). Esercita da oltre 20 anni nei settori della moda, pubblicità ed editoria dell’arte contemporanea e musica. Vive a Milano e Londra.