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GOLD MASS – Il sogno elettronico che si realizza

GOLD MASS – Il sogno elettronico che si realizza

“Sono al debutto, ma non sono improvvisata. Per questo non volevo concedermi di fare un album ingenuo, alla fine, l’unico modo per fare le cose è davvero solo farle sul serio.” Queste sono le parole che hai usato per descrivere il tuo disco quando ci siamo conosciuti, e mi hanno molto colpito.  Quanta passione c’è nel realizzare la tua musica e che emozioni stai provando ora che il tutto sta per vedere la luce?

Dietro la mia musica c’è solo passione, non sono mossa da altri intenti. Quello che scrivo è una pura espressione di quello che sento e che vivo, non ci sono filtri. Scrivere musica è sempre stata un’intima attitudine e poterla pubblicare e condividere è stato il sogno di tutta la mia adolescenza ed oltre. Ora che questo si sta realizzando, mi sento innegabilmente felice ed emozionata. E’ una sensazione che auguro a chiunque, ma che conosce solo chi ha desiderato qualcosa a lungo e con così tanta forza, riempiendo l’attesa di lavoro, cura e dedizione e preparandone la strada senza improvvisarsi. Al momento non vedo l’ora di poter portare live la mia musica e ripetere questo ciclo creativo per un secondo album.

Descriviti un po’ come artista. Qual è stato il tuo primo approccio da musicista e come sei arrivata al sound che ci stai per presentare?

Io nasco come pianista classico, questi sono stati i miei studi da strumentista per molti anni. Ancora oggi, scrivo per la maggior parte i miei pezzi al pianoforte. Ma suonare non basta. Ogni autore si porta dietro un bagaglio di ascolti che contribuisce a formarlo e a renderlo quello che è, ed è fondamentale continuare ad ascoltare musica e restare impressionabili a nuovi stimoli. Ogni conoscenza viene più o meno consapevolmente immagazzinata, rielaborata, fino a riemergere in una nuova forma che ci rappresenta e ci rende autentici. Io mi porto dentro ore di ascolto e studio di musica classica e lirica, il folk americano ed i cantautori italiani, il rock e post rock, il progressive, gli ambienti passionali della musica tradizionale, non solo italiana ma anche argentina e latina in genere. L’elettronica è stata una scoperta recente per me, e l’ho accolta come una vera benedizione perché mi ha aperto un mondo nuovo di cui avevo inconsapevolmente bisogno. Nell’album ho ricercato suoni scuri, che aiutassero ed accompagnassero i testi in modo coerente con il contenuto. I sintetizzatori sono un aiuto meraviglioso in questo perché sono in grado di regalare atmosfere tese e suggestive.

“Happiness in a way”, il tuo primo singolo appena uscito, è uno dei brani che ho apprezzato maggiormente. Come mai hai scelto di partire con questo pezzo? Quanto il testo è specchio del tuo io, e che rapporto hai con la stesura dei tuoi testi?

Happiness in a way è un pezzo che mi ha emozionato fin dal primo momento. L’ho scritto al pianoforte tutto d’un fiato in un pomeriggio e riascoltandolo mi è sembrato subito che fosse teso ed evocativo allo stesso tempo. E’ esattamente quello che cerco. Quando scrivo, ho bisogno di sentire che quello che sto creando si porta via con sé, tensione ed inquietudine 
mie, che riesco con questo processo ad esorcizzare per qualche tempo. Happiness in a way è una galoppata, un viaggio. Mi rievoca un senso di velocità che credo sia stato pienamente ripreso nel video che lo accompagna. Ho voluto fosse la prima uscita del mio lavoro, perché è la sintesi perfetta di quello che sarà l’album completo. Lo rappresenta. E’ come un atomo, la parte più piccola di un elemento chimico che ancora conserva le proprietà dell’elemento stesso. I testi per me hanno una grande importanza. Scrivo solo cose che vivo e che sento, sono terribilmente sincera e mi metto completamente a nudo. Non riuscirei a cantare frasi che non hanno per me un significato vivo. Se provo ad immaginare quello che può apparire dall’esterno, credo si percepisca un’intimità ed un tono di confessione in quello che scrivo, anche se alle volte può risultare ermetico. Sono però sicura che chi deve capire capisce perfettamente quello che dico, così come chi mi sta vicino e conosce quello che vivo e sento.

So che lavori in ambiti di ricerca e sviluppo nel settore dell’acustica, quanto questo percorso professionale ha potuto arricchire il tuo profilo artistico?

Il mio lavoro attualmente è nell’ambito dell’acustica, mi occupo di fornire misure di caratterizzazione sonora. Le conoscenze teoriche nell’albito del trattamento dei segnali, così come la familiarità con gli spettri in frequenza, aiuta ad essere più consapevoli quando si ha a che fare con la musica, specialmente con l’elettronica. Viceversa, la conoscenza del meccanismo di emissione sonora da parte di uno strumento musicale, sia esso una chitarra o l’apparato fonatorio, facilita non di poco la comprensione di fenomeni più complessi legati alla generazione del suono e del rumore in sorgenti meno intuitive.

Qui su Tuttorock, fra le altre cose, curo una rubrica che si chiama “ConsigliPerGliAscolti”, all’interno della quale si rispolverano vecchi capolavori, e si scoprono vere e proprie gemme spesso passate in sordina. Ci puoi consigliare un disco al quale ti senti sentimentalmente legata?

Non so se si possa considerare una gemma passata in sordina, ma troppo spesso mi capita di conoscere persone che ancora non conoscono l’album “Melody of Certain Damaged Lemons” dei Blonde Redhead datato 2000. Per me è stata una detonazione. Non posso neanche dire che mi abbia semplicemente segnato. Direi piuttosto che rispetto a tutta la musica che avevo ascoltato fino a quel momento, quell’album e quella band, hanno dato voce ad una parte di me, quella inquieta, insofferente e sensuale, che fino ad allora avevo guardato con sospetto e provato ad ignorare, fino a che non si è invece espressa appieno nella musica che scrivo oggi.

Intervista a cura di Francesco Vaccaro

Sito ufficale:  http://www.goldmassmusic.com/