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GIACOMO CALABRIA – Intervista al batterista sul suo GC Project

GIACOMO CALABRIA – Intervista al batterista sul suo GC Project

E’ sempre bello fare quattro chiacchiere con musicisti di talento, poliedrici e di larghe vedute – ancora meglio se si trattano di persone grandi non solo musicalmente ma anche umanamente come nel caso di Giacomo “Jack” Calabria, mastermind del GC Project con il quale ha appena presentato il suo secondo album dal Titolo Two of a kind: un lavoro che amplia l’idea del progressive rock e metal più colto mettendolo a disposizione anche di audience avvezza a melodie più pop, un lavoro che onestamente mancava da tempo nella moderna discografia e che ci auguriamo possa ottenere il successo che merita.
Ma lasciamo che sia il buon Giacomo a parlarcene…
 
 
Ciao Jack, hai da poco rilasciato il secondo album del progetto che porta il tuo nome e le tue iniziali… prima di analizzarne i dettagli ci puoi raccontare come è nato il GC Project e cosa ti ha spinto, dopo anni di musica a creare qualcosa di personale?
Ciao Santi. Ho sempre suonato i generi più vari e con molti musicisti e ho amato tutto quello che ho fatto; mi mancava però fare quello che veramente sentivo dentro, senza dovermi porre dei limiti. Volevo fare qualcosa che mi rappresentasse davvero, che rispecchiasse il mio vero stile. Ecco perché ho dato vita al GC Project.
 
Parliamo di Two Of A kind, ho già avuto modo di ascoltarlo ed è senza dubbio un forte passo avanti – che non presenta solo momenti di puro prog ma lascia spazio anche a melodie più AOR rendendo il tutto fruibile anche ad orecchie non avvezze al genere: vi è stata una scelta precisa in tutto ciò?
Assolutamente no, è nato in maniera spontanea. Ogni lavoro rappresenta lo stato d’animo di chi lo scrive e quello era il mio quando l’ho scritto. Contrariamente a quello che molti pensano, non parto dalla batteria, anzi, quella è l’ultima cosa a cui mi dedico; parto quasi sempre dalla linea vocale, intorno a quella scrivo tutto il resto. In un momento difficile, come quello che attraversavo quando ho scritto i brani di Face the Odds, ho scritto musica in un certo modo; quando ho scritto quelli di Two of a Kind avevo altri stati d’animo, ero più tranquillo, e questo credo che sia molto palese ascoltando i brani. In ogni caso, gli stili in cui scrivo sono sempre non calcolati, è sempre tutto spontaneo.
 
Come é stato il processo compositivo dell’album e che differenze hai riscontrato rispetto al precedente “Face The Odds”? Quali argomenti affrontano i testi? Vi è una sorta di “fil rouge” che collega tutti i brani?
Il processo compositivo dei due album è stato esattamente identico: parto, come dicevo prima, dalla linea di voce o da un riff di chitarra, continuo con la stesura, poi viene il testo. Le preproduzioni sono sempre molto scarne, un canovaccio sul quale bisogna sviluppare la trama, e in questo un enorme contributo arriva dai musicisti con cui collaboro. Le parti di batteria arrivano solo alla fine, quando ho ben chiaro cosa e come devo suonare. Per quel che riguarda gli argomenti, entrambi gli album sono dei concept.
 
Il titolo dell’album non è dunque un semplice gioco di parole che fa riferimento al fatto che questo è il tuo secondo album, giusto? Cosa rappresenta?
Two of a Kind è l’uomo, il mondo, la natura, l’universo. E’ il caos bilanciato che regola tutto: l’istinto contro la ragione, la voglia di qualcosa di nuovo e la paura di affrontare il cambiamento; l’amore, per definizione bello, che può essere ossessivo e quindi diventare malato, la serenità contro la pazzia o l’irrequietezza. E’ la linea sottile che separa due aspetti complementari. Il concetto di “Two of a Kind” rappresenta tutto e tutti, perché sta proprio nella natura. E comunque sei molto arguto! Il “Two” è anche riferito al Due inteso come secondo.
 
Si sentono riferimenti a Rush, Dream Theater, Yes, ELP, Genesis e Pink Floyd – quanto questi giganti del genere ti hanno influenzato e quali altri artisti hanno contribuito a forgiarti come musicista?
 I gruppi che hai menzionato fanno parte di me come le mie stesse orecchie. Mi hanno dato tanto prima come ascoltatore e poi come musicista. Altri nomi che mi hanno dato tanta ispirazione sono i Fates Warning, Alan Parson, Frank Zappa (e quindi Terry Bozzio), Planet X e più in particolare Virgil Donati, Dave Weckl, George Duke, Chick Corea, Pino Daniele, Gino Vannelli. Questi sono quelli più influenti, poi la lista è molto più lunga.
 
Su Two of a kind sono presenti diversi musicisti – molti dei quali sono “vecchie volpi” della scena rock bolognese – come è nata tale scelta, quali erano le tue aspettative a riguardo?
Ti dico subito che le mie aspettative sono state tutte soddisfatte; non che non lo sapessi già, infatti questa è stata solo una conferma. Sono tutti grandissimi musicisti, ognuno con le proprie peculiarità e col proprio carattere musicale. La scelta è nata proprio dal fatto che non volevo pormi limiti, volevo che i brani suonassero in maniera diversa l’uno dall’altro, facendo venire fuori proprio i musicisti che li suonavano. Già Two of a Kind è più omogeneo rispetto a Face the Odds, ma anche qua l’apporto di stili e gusti musicali molto vari ha dato un’ottima connotazione ai brani.
 
Molti pensano che il progressive sia legato unicamente agli albori del genere e alle band di cui abbiamo già parlato: quali secondo te possono essere invece i portabandiera di questa musica in questi ultimi anni?
Animal as Leaders, Icefish (anche qui c’entra il buon Donati), Porcupine Tree, ACT, Pain of Salvation, Opeth, DGM, e la lista continua.
 
Sei un musicista con grande esperienza e che ha suonato in molte band di genere completamente diverso tra di loro durante gli anni – quanto è importante per un musicista l’essere poliedrico e “nutrirsi” sempre di musica differente?
Per me è vitale! Ho sempre ritenuto (e in questo l’educazione musicale che ho ricevuto mi ha dato una grossa mano) che un musicista debba imparare più cose possibili, deve crescere sempre, di continuo; deve misurarsi con stili e generi diversi, deve sapersi esprimere in vari modi. Questo per due motivi: il primo è che la musica cambia, molti generi sono confluiti in altri (per fortuna) e non è successo ieri, per cui il linguaggio musicale si è fatto più difficile, a mio parere. Il secondo motivo, per me ancora più importante, è che studiare e comprendere altri generi ti dà modo di capire meglio il tuo genere di appartenenza; ti dà gli strumenti per riportare quello che hai imparato a quello che già sapevi fare, con la differenza che dopo lo fai meglio. Un po’ come avere un alfabeto intero a disposizione e studiarne una parte: quante parole non conoscerai, quante frasi non potrai costruire? Allo stesso modo, imparare anche le altre lettere ti dà modo di imparare nuove parole, di costruire nuove frasi, e di usare meglio quelle che già conoscevi.
 
Hai un qualche aneddoto particolare da raccontarci? Qualcosa di peculiare che ti è rimasta impressa in questi anni?
Suonare di spalla a Claudio Simonetti e i suoi Goblin, è una bella responsabilità aprire il concerto a uno dei musicisti più influenti nel genere. Stavo montando la batteria mentre c’era lui a cinque metri che faceva il warm-up. Non sapevo se guardare e ammirare lui o continuare a montare la mia strumentazione, avevo i brividi. E li ho avuti per tutto il set.
 
Tornando a Two of a Kind, è stato anche realizzato un video per uno dei brani, la bella “Black Rose”, molto ben realizzato: vuoi parlarcene? Vi sono in programma altri video?
Black rose è il singolo dell’album. E’ una canzone d’amore, nulla a che vedere con il classico “mi hai lasciato”, “soffro”, “mi sono accorto che mi manchi”. Parla dell’amore nel senso assoluto del termine: quello che si prova per la compagna, per i genitori, per un fratello, per un amico, ma anche per una persona dello stesso sesso. Infatti il video gira intorno a questa ragazza che scrive una lettera, il tutto intervallato da altri personaggi che in maniera diversa stanno vivendo un amore, poi finisce….no, non posso rivelare il finale a chi ancora non l’ha visto…
 
Quanto pensi sia importante per un musicista il “farsi vedere” oltre che “farsi ascoltare”, usando appunto video musicali ma anche social network quali Facebook o Instagram?
I video sono molto importanti per veicolare il proprio lavoro, questo da diversi decenni ormai, lo sappiamo tutti. In questi giorni ne ho pubblicato un altro (al quale seguirà un secondo) di uno dei brani strumentali dell’album, 5 Seasons of Sonora, in cui ci sono io che suono la batteria live sulla base del brano. E’ uno di quei pezzi per i quali mi sono preso una valanga di improperi dai musicisti che l’hanno registrato e che lo suonano dal vivo XD
Ne approfitto per fare pubblicità, se andate sulla pagina FB o su Youtube potete guardarlo quanto volete 🙂 (https://www.youtube.com/watch?v=KtdpMfWjhbc NdR). Riguardo a Internet e i social network, tutte fantastiche invenzioni, ma bisogna stare molto attenti! Fino a neanche tanto tempo fa succedeva che facevi un demo, lo mandavi alle etichette, alle riviste del settore, per cercare di avere un contratto, per farlo recensire, il tutto con i tempi biblici delle poste e facendo i conti col fatto che le copie cartacee non potevano includere più di un certo numero di articoli. Quindi, per avere risposta dalle etichette (quando ti rispondevano) o per leggere la recensione del tuo demo, dovevi aspettare diverse settimane. Adesso è giusto il tempo di inviare una mail, un wetransfer, o il link della tua pagina o sito web, e il gioco è fatto! Non vedevi una tua foto in giro neanche a pagarla, oggi ognuno di noi ha un numero enorme di foto che Cindy Crawford spostati. Se volevi imparare cose nuove andavi in un negozio e compravi i DVD (prima ancora le VHS) del tuo batterista preferito e lo imitavi, lo fissavi per ore, tutto per capire come facesse quel maledetto passaggio sui tom mentre suonava la cassa in terzine; mentre oggi c’è youtube, digiti paradiddle e impari da Dave Weckl come si fa. E tutto questo è fantastico! Ma…non c’è più fame, si ha troppo da mangiare e si è perennemente sazi. Non sto vedendo lo stesso sudore nelle nuove leve; non vedo più la pazienza di imparare, vedo la fretta di fare! Troppi sono convinti che la differenza tra uno che sa suonare e uno che non sa suonare stia nel numero di like, di followers o di visualizzazioni, e questo mi preoccupa molto. La musica sta attraversando un periodo critico sotto vari punti di vista, adesso si sta profilando una distorsione della realtà che un po’ mi spaventa, sono sincero. Il Promuoversi attraverso i social non mi pare più che sia un mezzo, quanto quasi sia diventato il fine.

 
Infine classica domanda da esame di terza media: progetti per il futuro? Cosa bolle in pentola?
Suonare live, terzo album, brani già in fase di stesura, idee nuove, tanta voglia di fare. Rock goes on and on and on 😉
 
Oltre ai saluti, vuoi dire qualcos’altro ai lettori di TuttoRock?
Accattatevi Two of a Kind 🙂 E comunque supportate la musica, a 360°.
 
Grazie ancora a Giacomo, è stato un piacere!
Seguitelo sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/gcproject1
 
SANTI LIBRA