Now Reading
FLESHGOD APOCALYPSE – Intervista a Tommaso Riccardi

FLESHGOD APOCALYPSE – Intervista a Tommaso Riccardi

Ci siamo trovati in compagnia di Tommaso Riccardi, che è voce, chitarra e frontman di una grande realtà Metal italiana: i perugini Fleshgod Apocalypse. Abbiamo fatto una bella chiacchierata a tutto tondo sulla sua band e non solo. Qui potete godere di una sorta di un riassunto esteso del nostro incontro, avrete però possibilità di vedere il video dell’intervista integrale sul canale YouTube di Tuttorock.

Ciao Tommaso. Per chi ancora non vi conoscesse, nonostante i quattro album all’attivo, vorrei che raccontassi un pizzico della vostra storia.
Come tanti, ogni membro proveniva da altri gruppi, ed avevamo come punto in comune quello di essere innamorati della musica Rock/Metal. Avevamo tutti l’obiettivo di cercare di fare il meglio per creare musica interessante ed uno show bello. Quindi, partendo letteralmente da zero, fin dal 2007 abbiamo iniziato a suonare assieme ed a scrivere musica, riuscendo a pubblicare un EP e tre full-lenght, di cui l’ultimo uscito a febbraio sotto Nuclear Blast Records. Ed eccoci qua. Abbiamo girato tanto e continuiamo a farlo. Siamo contenti.
 
E di strada se n’è già fatta tanta. Parlerei allora proprio di King, il vostro ultimo album. Qui si nota un cambio di stile musicale verso un genere più melodico e ricco di sfumature, pensate che questo vi distingua dalla massa, avendo creato un sound più personale?
Una parte King è l’evoluzione di ciò che abbiamo fatto finora, ma è anche vero che ci sono tanti elementi che sono nuovi pur essendo già intrinsechi nella musica che facevamo. King è il nostro disco più vario, abbiamo allargato tanto la paletta dei colori, perché ci sono sia cose legate al nostro passato sia cose più innovative. Ciò che secondo me ha aiutato a dare questo effetto è che c’è stato un cambiamento dal punto di vista della produzione, ci siamo spinti verso una maggior pulizia del suono che ci ha dato la possibilità di tirare fuori certi elementi. Magari cose che già erano presenti nella nostra musica ma che non erano così chiare.

Parlando invece del vostro lavoro live. Quando noi di Tuttorock vi abbiamo seguito all’Alchemica di Bologna avevate sul palco anche Veronica Bordacchini come special guest lirica, che continua a seguirvi in tour. Possiamo parlare di un nuovo membro fisso della band?
Nonostante la formazione rimanga formalmente quella originaria noi, consideriamo Veronica completamente un membro fisso della band. Il fatto di non averla inserita a livello formale nella formazione ha motivazioni “storiche”. Noi abbiamo un’idea di solidità della nostra formazione tale che vogliamo che rimanga quella. Però è evidente che lei sia un elemento fondamentale, perché aggiunge tantissimo, non soltanto a livello musicale ma anche a livello scenico.
 
A proposito dello show. Il vostro live è stato definito uno spettacolo da vedere oltre che da ascoltare, quanta importanza date alla parte ‘coreografica’ nei vostri live?
La parte visiva e quella musicale del nostro show, ma anche dei nostri videoclip, sono praticamente inscindibili. La nostra è una rappresentazione artistica dove le due parti hanno lo stesso peso. Considera che noi concepiamo dei brani appositamente pensando ad un videoclip, e dal vivo è la stessa cosa. Siamo a metà tra musica e teatro.

Dedicate molto tempo anche all’abbigliamento di scena. Vorrei sapere che sensazione volete generare negli spettatori attraverso questa vostra presenza scenica, e quanta preparazione richiede.
A livello tempistico la preparazione, sì, richiede tempo ma non è eccessivamente complicato. Tra l’altro dopo King abbiamo anche evoluto i nostri costumi per avere un aspetto che sta a cavallo tra il settecento e l’ottocento. Come tutto ciò che facciamo sul palco, il nostro vestiario cerca di essere una rappresentazione visiva della musica che suoniamo, compresi i testi. L’idea è quella di avere un contrasto tra qualcosa di molto violento e contemporaneamente molto romantico, con anche un senso di grandiosità, che sta dietro tutto quello che facciamo.

Nell’ultimo album, forse ancora di più che nei precedenti, introducete molti elementi di musica classica. Da cosa viene questo bisogno di inserire elementi classici nella trama Metal?
Diciamo che i Fleshgod sono nati così. Anche in Oracles, dove non avevamo ancora inserito orchestrazioni se non come interludio, le progressioni armoniche e melodiche erano già molto legate al periodo classico e barocco. Forse su King si nota di più la pomposità perché c’è più romanticismo. Nella musica di King ci sono più spazi aperti e quindi l’orchestra sbuca di più. Labirinth per esempio conteneva già una marea di parti orchestrali ma era un disco molto più serrato e senza un momento di respiro, quindi magari si notava meno.
 
Cambiano un po’ argomento, mi ricollego a King, un album che si presenta come un concept con un filo logico legato alla società moderna, che rapporto vivete con questa società fatta di talent e social?
King parla proprio di questo. La metafora è questa: c’è il Re che rappresenta una parte di noi stessi, una parte che ognuno di noi ha e che è in grado di riconoscere quelle cose che sono davvero importanti e reali legate ai sentimenti profondi ed alle cose semplici, che sono ciò di cui realmente abbiamo bisogno, mentre tutto il resto è sovrastruttura. Poi c’è la corte, cioè un gruppo di persone dove tutti complottano per prendere il posto del Re, che rappresenta il mondo che viviamo adesso, dove ciò che ci circonda tende a strapparci sempre di più dal presente e farci dimenticare quelle cose che “il Re” dentro di noi conosce benissimo e che sono di una semplicità disarmante. Oggi la vanità per esempio ha preso tanto il sopravvento, basti pensare ai selfie, che ora sono normali, ma che non lo erano solo poco tempo fa. Non che tu non ti possa fare una foto, quello si è sempre fatto, è proprio il concetto che tu debba per forza mostrare al resto del mondo la tua vita come se fossi in vetrina ad essere sbagliato, perché in quel momento la tua vita tu non la stai vivendo.  Il messaggio di King è questo: “Torniamo al presente perché se no è un casino!”.

Un gran bel concetto. Vorrei ora parlare di un mito come il festival di Wacken, che da due anni anche noi di Tuttorock seguiamo ufficialmente. Voi vi avete preso parte nel 2014, che esperienza è stata?
Beh è stata una cosa molto emozionante ma anche molto stressante. Però per fortuna è andata molto bene, il Wacken si conferma qualcosa di grandioso anche dalla parte del backstage, perché è organizzato davvero in maniera encomiabile e merita il suo successo anche per questo. Una delle emozioni più belle poi è stata avere tanti italiani nelle prime file. Il fatto che ci fosse gente che si è messa là ad aspettarci in prima fila con le bandiere dell’Italia, perdendosi magari gruppi del main stage per vedere i Flashgod, è stato molto appagante.
 
Rimanendo in Germania. Già dal vostro secondo album, siete entrati nel roster di un’etichetta storica e di alto livello come la Nuclear Blast, a distanza di tre album ed oltre cinque anni, ritieni ancora che sia stata la scelta giusta? E vorrei sapere com’è l’esperienza in Nuclear Blast rispetto alla vostra precedente pubblicazione.
Il cambiamento è stato gigantesco. Il lavoro quadruplica, ma non nel senso che suoni di più, ma tutto diventa più grande, dagli scambi di mail ai conti. D’altronde è la indie più grande al mondo. Questo è una cosa bella ma allo stesso tempo l’altro lato della medaglia è che devi fare a gomitate, perché lì c’è gente che ha da pensare agli Slayer per esempio. Quando arrivi lì tu comunque non sei nessuno e devi metterti a lavorare d’impegno per far capire che sì, sei entrato dalla porta sul retro, ma che un domani potresti essere uno dei gruppi di punta. Io a distanza di cinque anni dico che è stata la scelta giusta perché, nonostante i litigi e le discussioni, ora quella scelta sta iniziando a dare i suoi frutti. Questo perché noi stiamo crescendo e loro stanno investendo di più su di noi. Il che vuol dire anche tanto lavoro in più. I mesi prima dell’uscita di King sono stati massacranti, perché l’etichetta ha voluto che facessimo tutta una serie di cose appunto per promuovere al meglio il disco. Questo per noi è ottimo perché quando c’è una buona volontà sia da una parte che dall’altra le cose vanno bene.

Avete inanellato una lunga serie di live, hai aneddoti curiosi da raccontare ai nostri lettori?
Mah, posso dire che sono stato contento qualche giorno fa quando ho sentito i due nuovi singoli del progetto che riunisce George Fisher dei Cannibal Corpse, Shannon Lucas che era il batterista The Black Dahlia Murder e precedentemente degli All that Remains e Adam (Dutkiewicz ndr), il chitarrista de Killswitch Engage. Mi sono emozionato perché un anno e mezzo fa eravamo a suonare al Columbia Club di Berlino, ultima data di un tour, e c’erano i Cannibal parcheggiati lì col tour bus perché avrebbero suonato il giorno dopo di noi. George, che è sempre molto colorito, soprattutto quando beve, ha passato tipo quaranta minuti con me costringendomi ad ascoltare tutte le pre-produzioni di questo nuovo progetto per cui era gasatissimo! Ascoltavo questi pezzi dal suo cellulare e pensavo “Cazzo questa è una figata!”. Insomma che sta per uscire ora il disco di questo nuovo progetto e la cosa mi ha fatto sorridere ripensando a questo episodio. Per me la più grande soddisfazione è questa, quando incontro i miei idoli, che magari vengono a vedere il nostro concerto e magari condividono qualcosa con me. Voglio dire, per me George Fisher è Dio! Quindi il fatto di comunicare personalmente con lui e parlare di musica è impagabile.
 
Mi piacerebbe allora sapere quali sono gli artisti o le uscite che ascolti ultimamente, se sono cose simili a ciò che fate con i Flashgod o tutt’altro.
Partiamo da qui: io in questo momento sto soffrendo perché sono in attesa del nuovo dei Fast Animals and Slow Kids, che vengono da Perugia e sono grandi amici. Sono stato a sentire qualcosa durante le registrazioni e sono già gasatissimo per questo evento! Però ultimamente io mi sono per la prima volta lanciato molto sul Blues. Quindi non sto tanto ascoltando nuove uscite ma più che altro tanta roba vecchia. Skip James, Robert Johnson per esempio. E mi capita spesso di ascoltare un progetto underground di un nostro grandissimo amico che si chiama Jason Evers Johnson e che ha un progetto chiamato Trainrider, che è una figata! Lui è del Kentucky ma abita a Perugia ed è un personaggio autentico del Blues. Fra l’altro stiamo anche timidamente accennando a fare un progetto io e lui. E quindi niente, in questo momento sono orientato da quella parte li. Dove alla fine si trovano le radici di tutto. Tutto parte da lì.

È da poco uscito l’album e chiaramente avete il tour in corso, ma altri particolari progetti futuri ne avete?
Beh intanto ci aspetta un altro anno e mezzo abbondante di tournée. Poi c’è una cosa recentissima, abbiamo fatto un live a Perugia all’Afterlife Club, dove abbiamo registrato tutte le immagini che saranno parte di un videoclip, il nostro primo videoclip basato su un concerto, che uscirà a breve. Abbiamo poi anche altre cose in programma dal punto di vista video, che si concretizzeranno nel periodo attorno a Natale. Per il resto andremo a dare supporto negli Stati Uniti agli Epica per il loro tour, poi torneremo ed avremo un mesetto off ed infine a gennaio avremo il nostro primissimo tour europeo da headliner. Per l’anno prossimo poi ci sono tante cose in ballo, sicuramente torneremo nel sud-est asiatico. Giappone e speriamo anche Australia e Cina. Tante cose in lavorazione.
 
Siete decisamente attivi! Questa era l’ultima domanda e noi ti ringraziamo. Vuoi fare un saluto ai lettori di Tuttorock?
Grazie a tutti per il supporto! E, visto che abbiamo parlato di King, lo dico nuovamente, anche perché lo dico anche a me stesso: viviamo il presente!

MARCO RAGGI
Pics by DANIELE AVERSANO