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ROGER WATERS Us+Them tour @ Unipol Arena, Casalecchio di Reno (BO) 21-4-2018

ROGER WATERS Us+Them tour @ Unipol Arena, Casalecchio di Reno (BO) 21-4-2018

“Sono in competizione con me stesso, e sto perdendo…”
Roger Waters

Potremmo dare la palma di regina di primavera dei concerti alla D’Alessandro e Galli, che dopo i Toto porta sui palchi un altro pezzo di storia come la leggenda dei Pink Floyd, mr. Roger Waters. Se volessimo assegnare dei ruoli nei Pink Floyd, non sarebbe errato dire che se Gilmour era il braccio, Waters era la mente. Geniale, visionario, problematico, passato da una delle più grandi band di ogni tempo ad una carriera solistica di solenne eccezione. 154 date totali, 70 in Nord America, 12 in Oceania, 59 in Europa, 13 in Sud America questo l’ Us + Them tour inaugurato il 26 maggio 2017 a Kansas City, nel Missouri, che viaggia anche a supporto del suo ultimo album, Is This the Life We Really Want? In un perfetto equilibrio di setlist con un25% di nuovi pezzi ed un 75% di grandi successi del passato floydiano.

Sempre impegnato in prima fila nella lotta agli autoritarismi, ai signori della guerra, alle ingiustizie, il titolo del tour non è un errore, ma la normale transizione da una divisiva ed alienante Noi e loro ad una inclusiva e solidale Noi più loro, attingendo al discorso pronunciato a suo tempo da Barack Obama riguardo immigrazione e solidarietà. Restiamo umani, è il mantra che Waters ripete più e più volte battendosi i pugni sul cuore, in totale antitesi al ringhioso Trump, le cui immagini e frasi peggiori sono lo sfondo su cui si dipana Pigs nel secondo set, il tutto arrotondato da un Trumpig che si dondola mollemente sulle teste dei fans in parterre.

E’ l’immagine solitari di una donna girata di schiena che per lunghi minuti mira il mare di fronte lei a fare da intro, sola, un’immagine di quieta solitudine, alienante e pacificante. Poi si attacca subito con il best dei Pink Floyd, una band di eccezione che assomma una coppia di chitarristi furenti come Wilson e Kilminster, capace questi di inanellare riff sulfurei, arrivando ad incendiare una spettacolare versione di Time. Non sono da meno le nuove tracce, una tossica The last refugee rimane addosso fondendosi con una straordinaria Picture that, conducendo i 16.000 della Unipol all’iconica Wish you were here, da invocazione barrettiana assurta ad idolo di tutti gli amanti. Per arrivare a quella che è forse la canzone perfetta, figlia di tanti padri, l’antesignana Bricks in the wall considerata da Wright monocorde e da Gilmour lagnosa e fiacca. Ma in quell’unica strofa e coro, il nuovo produttore Bob Ezrin intravide il potenziale che alla band ancora sfuggiva, la potenza di un singolo che avrebbe cambiato tutto, “Fottiti, noi non facciamo singoli” fu la sprezzante risposta data ad Ezrin. Sembrava tutto fermo e destinato all’oblio, ma per fortuna c’era Andrew Warburg, che responsabile dei testori accumulati dai Floyd riuscì in poco tempo a buttarli sul lastrico, costringendoli ad evitare la disintegrazione seguente In the flesh tour, fuggire nel sud della Francia lontano dalle rapaci mani del fisco di Sua Maestà, e mettersi al lavoro. Zona decisamente piena di ispirazione la Costa Azzurra, contando anche l’affinità della nascita del capolavoro degli Stones con Exile on mani street, casualità che consiglierebbero ad Amici di trascolare armi e bagagli in quei posti…. Ezrin proseguì pervicacemente nella sua intuizione, seguendo quel filo educational che lo portò dagli eclettismi di School’s Out alle visioni oniriche di Another brick in the wall. Sul palco gli alunni di una scuola bolognese al posto degli originari studenti della Islington Green School, e con la fervida speranza che il professore bolognese fosse a conoscenza del testo, al contrario del suo omologo inglese che a suo tempo, scoprendolo in diretta, si lasciò andare ad una torrida serie di imprecazioni ben poco in linea con il classico self control britannico. Resta il fatto che il sold out della Unipol Arena impazzisce già al rombo dell’elicottero che annuncia la calata dell’immarcescibile brano, coreografie spettacolari accompagnano la colonna sonora, ben lontane da quelle minimali create per la versione originali da Gerald Scarfe, ma il tempo passa, e non sempre inutilmente.

E’ un tour iconico e polemico, l’icona è una enorme e straordinaria ricostruzione della Battersea Power Station, proiettata da Help! e Quadrophenia, fino all’artwork di Animals, per poi propagarsi fino all’orwelliano 1984. Una scenografia dettagliata e che colpisce come un maglio, densa di rabbia e polemica, una serie di uppercut al trumpismo, con richiami anche al nostrano Silvia e last but not least, a Theresa May. Anche qui rispettata la percentuale 25%-75%, i ¾ delle immagini e testi di accompagnamento sono dedicati al cinghialone rossiccio, con un finale a caratteri cubitali ‘Trump è un maiale’ che manda in visibilio i fans. E a fare da contraltare ai miliardari ed ai signori della morte scorrono le fotografie delle favelas, della miseria, degli abbandonati, dei più deboli, miliardi spesi in armi, spiccioli per chi non ha la voce per farsi valere. Si vedono i muri eretti per dividere, poco è servito il boicottaggio israeliano al tour, l’entusiasmo è alle stelle, un Waters che indossa una maschera da pig risulta un plus. Il soundcheck è perfetto, la setlist prosegue fra bassi granitici, riff chitarristi sublimi, un Roger in forma smagliante che domina il palco. La Battersea taglia in due l’arena, i suoi schermi diffondono pace e musica, poesia e pensieri, alle due bravissime coriste, che pare persino riduttivo così definirle, si unisce l’eccellente sax dello scozzese Ian Ritchie, che da Us and them intarsia di bellezza la trama del live.

L’encore riserva due curiosità, la toccante e commovente Mother il cui drummin’ fu affidato a Jeff Porcaro in quanto Mason non riusciva suonarlo, e la magnifica gilmouriana Comfortably Numb che Waters nemmeno voleva inserire nell’album a suo tempo, e che ora usa per chiudere la serata. Come biasimare la saggezza dell’esperienza?

MAURIZIO DONINI
Photoset by NINO SAETTI

Credits: si ringrazia D’Alessandro e Galli per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.

Set 1
Speak to Me/Breathe
One of These Days
Time (with Breathe (Reprise))
The Great Gig in the Sky
Welcome to the Machine
Déjà Vu
The Last Refugee
Picture That
Wish You Were Here
The Happiest Days of Our Lives
Another Brick in the Wall (Part II)
Another Brick in the Wall (Part III)
Set 2
Dogs
Pigs (Three Different Ones)
Money
Us and Them
Smell the Roses
Brain Damage
Eclipse
Encore
Mother
Comfortably Numb

Band:
Roger Waters – bass, lead vocals, guitars
Dave Kilminster – guitars, bass, talk box, backing vocals
Gus Seyffert – guitars, bass, keyboards, backing vocals
Jonathan Wilson – guitars, keyboards, lead and backing vocals
Drew Erickson – piano, keyboards, Hammond organ
Bo Koster – piano, keyboards, Hammond organ
Jon Carin – piano, keyboards, programming, lap steel guitar, guitars, lead and backing vocals
Ian Ritchie – saxophone, additional bass
Joey Waronker – drums, percussion
Jess Wolfe – lead and backing vocals, percussion
Holly Laessig – lead and backing vocals, percussion
Ian Ritchie – saxophone

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