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ELTON JOHN “Farewell Yellow Brick Road tour” – Live @ Arena di Verona, 2 …

ELTON JOHN “Farewell Yellow Brick Road tour” – Live @ Arena di Verona, 2 …

“I’m ashamed of my country for what it has done. It’s torn people apart … I am sick to death of politicians, especially British politicians. I am sick to death of Brexit. I am a European. I am not a stupid, colonial, imperialist English idiot.”

Iniziamo da questa frase pronunciata da Sir Elton John, Cavaliere di Sua Maestà Elisabetta, ma europeo a tutto tondo e uomo di grande rispetto oltre che cantante tra i più grandi di sempre. Per la gioia data al mondo dall’arte di Sir Elton Hercules John nato Reginald Kenneth Dwight passando brevemente per Elton Dean, ringraziamo innanzitutto l’insegnante di musica della Royal Academy of Music, Helen Piena, che rimase sbalordita vedendo l’undicenne Reginald Dwight eseguire a memoria, dopo averlo guardato solo una volta, uno spartito di Haendel di 4 pagine. Ed ancora la sua etichetta, la DJM di Gus Dudgeon, quando comprese immediatamente che non serviva un cantante, la voce di Elton era perfetta, la sua Your song che gli presentò era perfetta.

La canzone scritta da Bernie Taupin sarà uno dei due encore assieme a Goodbye Yellow Brick Road, per una chiusura stratosferica, ma prima c’è stata tanta musica. Un Elton che, malgrado gli anni abbiano appesantito la sua forma, già tendente alla pinguedine, un raffreddore che lo limita a suo dire, e che porterà poi alla cancellazione della serata seguente, appare peraltro in forma smagliante dal punto di vista musicale, addirittura in crescendo durante l’arco del live. I frac della serata e gli occhiali esagerati sono poi poca cosa per chi era uso presentarsi coperto di piume rosa, ma basta l’attacco delle note di Bennie and the Jets per scatenare il pandemonio nell’Arena. La carrellata di hits nella sterminata discografia di Elton è un vaso di Pandora da cui si potrebbe attingere per 10 concerti diversi, ma ci sono momenti piacevoli come Tiny dancer, altri eccessivamente zuccherosi come la Candle in the wind che unisce idealmente Lady Diana alla Marylin Monroe che passa sul videowall alle sue spalle. Brani senza tempo quali Rocket Man e Sorry seems to be the hardest word, la polemica Take me to the pilot. La sensibilità di un artista eccessivo e superlative quale Elton John che assieme alla dichiarazione pro-Europa ricorda come si stia battendo contro l’AIDS tramite la sua fondazione. Non mancano le classiche lamentele per cui è famoso, contro il backstage e la condizione dei bagni, d’altronde se così non fosse non il mondo non avrebbe avuto un capolavoro come The bitch is back, quando una esasperata Maxine Feibelman, allora moglie di Bernie Taupin, esasperata dalle nevrotiche paranoie e continue lamentele di Elton, sbottò “Uh-Oh, the bitch i back!”, frase che il marito colse al volo per confezionare l’inno a Reginald.

Perfino la pioggia si ferma prima del concerto, lasciando divampare le fiamme che bruciano, metaforicamente e nell’unico visual della serata, il pianoforte mentre Sir Elton John suona Burn down the mission. E se su Believe passano nello sfondo le immagini del suo impegno nella lotta all’AIDS, durante I’m still standing sono le immagini di repertorio personali ad essere le protagoniste, i ricordi di un ragazzo bullizzato e con un rapporto a dir poco complicato con il proprio padre, ma che ha saputo uscire allo scoperto e conquistare il mondo, lanciando anche appelli alla pace con la sua anti-warsong Daniel, altro momento emozionante della setlist. E noblesse oblige ricordare una band di assoluto livello, con un Ray Cooper funambolico ed inarrestabile percussionista in cima alla piramide, che su Indian Sunset ha prodotto una esibizione indimenticabile per chiunque abbia visto il live, ma momenti superbi della band anche sulla jammata Levon e durante tutto il set, una serata che rimarrà negli occhi, nelle orecchie e nei cuori di tutti gli spettatori per sempre.

MAURIZIO DONINI
Photoset by NINO SAETTI

Credits: si ringrazia D’Alessandro e Galli per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.

Setlist:
Bennie and the Jets
All the Girls Love Alice
I Guess That’s Why They Call It the Blues
Border Song
Tiny Dancer
Philadelphia Freedom
Indian Sunset
Rocket Man (I Think It’s Going to Be a Long, Long Time)
Take Me to the Pilot
Sorry Seems to Be the Hardest Word
Someone Saved My Life Tonight
Levon
Candle in the Wind
Funeral for a Friend/Love Lies Bleeding
Burn Down the Mission
Daniel
Believe
Sad Songs (Say So Much)
Don’t Let the Sun Go Down on Me
The Bitch Is Back
I’m Still Standing
Saturday Night’s Alright for Fighting
Encore:
Your Song
Goodbye Yellow Brick Road
 
Band:
Elton John – piano, voce
Davey Johnstone – chitarra, cori
Nigel Olsson – batteria, cori
John Mahon – percussioni, cori
Kim Bullard – tastiere
Ray Cooper – percussioni
Matt Bissonette – basso, cori
 
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