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UDDE – Intervista al musicista

UDDE – Intervista al musicista

Oggi per Tuttorock intervisto Udde musicista e cantautore sardo. Quindi sono doppiamente orgogliosa perché mio conterraneo!
 
Ciao Udde! Come stai? Presentati ai lettori di Tuttorock e poi toglimi una curiosità: perché hai scelto Udde come nome d’arte?
Ciao a te Monica e ai lettori di Tuttorock! Il nome Udde non ha un significato preciso o delimitato. Non vuol dire nulla ma può avere tanti significati (so che in Svedese Udde significa promontorio). Semplicemente, ha un bel suono,  ed è facile da ricordare: questi sono stati i motivi che mi hanno spinto a sceglierlo. Prima di iniziare il progetto solista ho suonato la chitarra con una band della mia città. Facevamo una specie di rock psichedelico con tinte new wave. Poco prima che la band si sciogliesse cominciai  a smanettare su un software daw, e mettevo i miei pezzi nel canale Qoob: facevo pezzi strumentali elettronici da 1 minuto. Fu allora che scelsi il nome.

Da quando fa parte di te la musica? E qual è una canzone che ti riporta con la mente ai tuoi primi passi in questo mondo?
Durante l’adolescenza suonavo la batteria in gruppi di musica un po’ pesante, e non ero nemmeno malaccio. Volevo fare black metal o brutal death. Però ho iniziato a picchiare i fustini del Dixan dall’età di sette anni. Da piccolo ascoltavo musica che girava in casa grazie ai genitori e zii, dunque beat italiano o Beatles/Rolling Stones. Ma forse la prima canzone suonata fu Apache dei The Shadows.
 
Il 31 marzo uscirà il tuo primo album The Familiar Stranger: raccontaci di lui a 360°!
Nel 2012, dopo la parentesi dei pezzi da 60 secondi (i Residents c’entrano, ovviamente) ho iniziato a scrivere canzoni vere e proprie, ho pubblicato un EP di tre pezzi (Fog), e mi sono messo a lavorare ad un album intero. Purtroppo il magma sonoro che mi sono trovato a gestire era troppo complicato per la mia scarsa esperienza in fatto di  produzione. Non sono certo un minimalista, e mi trovavo con 60 tracce (per canzone) che ovviamente faticavano ad essere distinguibili nel mix finale. Dopo tre anni di lavoro ho buttato tutto all’aria ed ho ricominciato registrando canzoni nuove. Ho scritto 16 canzoni in un paio di settimane, e su quelle ho lavorato affinché venisse fuori un album semplice e coerente. Ne ho registrate 11. Credo siano canzoni fondamentalmente pop. Poco prima di iniziare il lavoro di arrangiamento e di registrazione ho pensato al titolo, ed ho trovato in “The Familiar Stranger” un buon suono, ed un bel contrasto. I Familiar Strangers, semplificando all’osso, sono le persone che conosciamo di vista, che vediamo spesso durante la nostra vita, ma che non conosciamo direttamente e profondamente. Dal titolo sono nati i testi, che parlano in maniera molto spicciola di vita di provincia: ho cucito delle storielle su alcuni “familiar strangers” della mia città (si va dall’emigrato, al tossico di fronte al supermarket, dai delinquentelli di periferia al prete). Man mano che i testi si delineavano mi sono accorto che stavo buttando giù quadretti un po’ squallidi, ed allora, per tenere fede al contrasto del titolo, ho scelto di arrangiare i pezzi in maniera un po’ patinata, come si faceva negli anni ‘80. Probabilmente c’è un po’ di manierismo ed artificio in questa scelta, ma la musica è un artificio. Il fulcro rimane per me il succedersi delle note. Il resto dev’essere di supporto alle note, non il contrario. Ovviamente, talvolta, anche il togliere delle note è funzionale. Nell’arrangiare il disco ho lavorato anche di sottrazione, che per me è stato un approccio totalmente nuovo. Anche la copertina (di Chiara Porcheddu) è stata scelta in funzione del contrasto con lo squallore dei testi.
 
Io ho ascoltato l’album: spaccati di vita quotidiana, semplicità, immediatezza. In quale momento della tua vita lo hai scritto?
Forse la semplicità e l’immediatezza che sub consciamente cercavo erano una necessità: dovevo trovare un’alternativa al modo di arrangiare che avevo applicato al primo disco. La musica è nata in due settimane circa, i testi hanno avuto una gestazione un po’ più lunga perché prima ho deciso il tema da affrontare nella canzone, successivamente mi sono occupato dell’arrangiamento e del suono, ed alla fine ho scritto il testo.
Non c’è niente di personale nei testi, ed il periodo in cui ho scritto il tutto non ha influito particolarmente. Era semplicemente come affacciarsi alla finestra, guardare le persone che passano, ed attaccarci sopra un testo. Routine.

 
Posso chiederti qual è un tuo sogno nel cassetto?
Sposare una ricca ereditiera e oziare per sempre.

Wow ! Non sarebbe male! Grazie  Udde! E buona vita!
Grazie a te! Ciao!
 
MONICA ATZEI
 
 
Disco composto, registrato e mixato da Udde
Mastering  Carl Saff del Saffmastering di Chicago
Foto e artwork Chiara Porcheddu
 
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