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PLAN DE FUGA – Intervista alla band

PLAN DE FUGA – Intervista alla band

Oggi ho il piacere di intervistare una delle mie band preferite, nonché delle migliori che abbia prodotto il nostro paese e che poco hanno da invidiare, qualitativamente, a molti gruppi stranieri, i Plan de Fuga. Questi si formano nel 2005 e dopo anni di live in Italia e all’estero, nel 2009 firmano il loro primo contratto discografico. A Marzo 2010, a soli tre mesi dalla pubblicazione dell’album, vengono inseriti nel cast dell’Heineken Jammin’ Festival, dove i sono esibiti sul prestigioso palco principale del parco San Giuliano a Venezia, assieme ad artisti di fama internazionale come Aerosmith, The Cranberries e Stereophonics. Nel gennaio 2011 i Plan de Fuga vengono eletti miglior band italiana del 2010 in un sondaggio on-line indetto dai DJ di Virgin Generation. Nel 2011 diversi brani estratti dall’album “In a Minute” vengono trasmessi nel programma The Coalition Chart Show, condotto da Mike Joyce, storico batterista degli “Smiths”, su East Village Radio (New York). I Plan de Fuga sono una delle realtà rock italiane più innovative

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Ciao ragazzi, grazie del tempo dedicato, per è un grande piacere visto che amo la vostra musica da quando l’amico Andrea Rock la passava su Virgin. Da subito un grande successo, pezzi straordinari, niente da invidiare a gruppi stranieri famosissimi, per cui avete anche aperto molti concerti, stare in tour con loro, come all’Heineken che esperienza è stata?
Un’esperienza bellissima ed a tratti surreale anche perché arrivata a pochi mesi di distanza dal nostro debutto discografico. Già in precedenza avevamo suonato molto in Italia ed avuto anche le prime esperienze all’estero ma trovarsi a scambiare quattro chiacchiere con gli Stereophonics guardando una partita dei mondiali di calcio seduti nel back stage oppure vedere i One Republic che ti applaudono a fine soundcheck sono momenti che ricorderemo sempre. Poi il live con quasi 10.000 persone davanti quando c’è ancora abbastanza luce per vederli tutti, è stata un’emozione fortissima! Soprattutto quando pezzo dopo pezzo senti aumentare gli applausi e vedi le braccia alzarsi e la gente che parte con air guitar ed head banging. Una mezz’ora che ci è sembrata durare tantissimo e pochissimo allo stesso tempo, ma alla fine non avremmo più voluto scendere dal palco!
 
Altra bella esperienza è stato il tour negli USA, cosa non proprio da tutti.
Gli States sono un altro capitolo memorabile per noi, qualcosa che abbiamo voluto e cercato fortemente per mettere alla prova davvero le nostre velleità di band rock internazionale in una delle realtà più competitive e toste del mondo. Un tour auto-organizzato grazie al preziosissimo aiuto di un caro amico musicista residente negli States che ci ha portato da New York ad Austin TX, attraverso altre grandi città quali Chicago e Memphis. Abbiamo suonato su palchi di tutti i tipi: dal locale storico di Manhattan al rimorchio di un truck a Nashville, da un pub tipico irlandese in Texas ad un “bettola” di Memphis, dove Jeff Buckley passava a berne uno e suonava qualche pezzo piano e voce. Ovunque respiri aria di musica, praticamente in ogni posto c’è qualcuno che suona: che sia per strada, in un locale o dentro ad un ristorante, il pubblico è molto vario e  mentalmente aperto alle novità, quindi anche molto attento sia al sound che ai testi delle canzoni. Abbiamo avuto ottimi riscontri e tante conferme del fatto che il nostro progetto avrebbe la possibilità di trovare un suo spazio in un panorama musicale di altissimo livello, quale quello americano, quindi una grande soddisfazione ed una forte spinta a continuare il nostro lavoro. Poi passare un mese assieme in un camper di 13 metri (tra i più piccoli da quelle parti), guidando per 8000 miglia attraverso paesaggi da film, ci ha anche regalato montagne di aneddoti che faranno impazzire i nostri nipotini (quando e se ne avremo), tra cui una jam session in NYC con Andy Rourke, lo storico bassista degli Smiths, una delle band tra le nostre preferite.
 
Un grande successo con il vostro rock in inglese, ed invece di proseguire sull’onda avete deciso di virare sulla lingua italiana, un bel rischio no?
Abbiamo da sempre avuto il desiderio di confrontarci con la lingua italiana e anche grande rispetto per gli artisti che ne sanno sfruttare al meglio la poetica. Ma il desiderio di portare la nostra musica oltre confine ed il nostro background musicale di matrice prevalentemente anglofona, ci hanno fatto scegliere l’inglese per i primi due album. Poi l’esperienza americana ci ha fatto vedere quanto potessero essere incisivi i nostri testi per persone madrelingua, ai quali teniamo molto da sempre, fatto che ci ha spinto a lavorare già lì ai primi brani in italiano per poter trasmettere il nostro messaggio con la stessa immediatezza al pubblico italiano, senza escludere chi qui non ha grande dimestichezza con l’inglese. Dopo Fase 1 e Fase 2 possiamo dirci molto soddisfatti del risultato, sia dal punto di vista artistico che di comunicazione col pubblico. Quindi operazione riuscita!
 
Altra cosa non scontata è stato dividere il lavoro in due album, Fase 1 ed ora il nuovo Fase 2, solo grandi gruppi collaudati si lanciano in questi tentativi.
La scelta di dividere in due “fasi” il disco ha diverse ragioni. Cambiare lingua ha richiesto una lunga fase di scrittura dei testi. L’italiano ha una metrica ed una fonetica molto diverse dall’inglese, esprimere quindi i concetti voluti senza snaturare il sound della band, lasciando che si evolvesse naturalmente, è stato impegnativo. Abbiamo perciò deciso di pubblicare i primi sei brani e di valutare i risultati sia a livello artistico che di effetto sul pubblico. Inoltre in un mercato musicale attualmente saturo di prodotti, gli spazi mediatici sono sempre minori e la doppia uscita può portare maggior visibilità: quindi più chance di far arrivare la propria musica a nuovi ascoltatori, non a caso questo è oggi un trend del mercato discografico, soprattutto per progetti non proprio mainstream come il nostro.
 
Un sound che è immediatamente inconfondibile, ma anche decisamente particolare, cosa ascoltavate da giovani?
Siamo quattro musicisti dagli ascolti molto diversi e questo forse porta nella band varie sfaccettature che creano l’alchimia finale dei Plan. Sicuramente citerei i mostri sacri dei ’70 (Pink Floyd, Black Sabbath, Doors, Zeppelin, Hendrix ed altri), la Seattle anni 90, Queen,The Cure, Radiohead, Motorpsycho, Deus ma anche Metallica, Jeff Buckley e il Bristol sound di Portishead e Massive Attack: la lista sarebbe ancora lunga, ma fermiamoci qui.
 
Testi abrasivi e rabbiosi, profondi, una capacità di scrittura notevole, con un sound scuro e graffiante, come si sviluppa il vostro processo creativo? Avete incarichi ben definiti?
Filippo è l’autore principale dei brani, a livello di testi in collaborazione con Marcello. L’arrangiamento è sempre stato curato assieme come band, con la produzione artistica diretta da Filippo insieme a Simone che si occupa poi dell’aspetto registrazioni. I brani a volte nascono da un giro chitarra e voce lavorato assieme in stanza, a volte da un momento di improvvisazione rielaborato poi in studio, oppure si parte da un provino fatto in casa ma già con delle linee di produzione ben definite. Insomma ogni canzone ha un po’ la sua storia, i testi di solito arrivano dopo la musica, ma può nascere a volte anche tutto insieme.
 
Pare di percepire una visione abbastanza negativa della società moderna, che idea ne avete?
Il declino del nostro paese sia sul piano culturale che sociale è ormai sotto gli occhi di tutti. Abbiamo voluto spingere le persone a farsi più domande sui motivi di questa decadenza, a ragionare di più con la propria testa senza perdersi tra le distrazioni e le finte soluzioni fornite dal sistema politico-economico e mediatico. Non ci interessa schierarci politicamente da una o dall’altra parte, ma crediamo che la presa di coscienza delle persone sia il vero motore del cambiamento, crediamo che possa invertire il trend e dare vita ad un sistema più onesto e umano per tutti. Ci fossero più buonsenso e rispetto reciproco, molti problemi tra esseri umani scomparirebbero molto in fretta…
 
La domanda che forse non dovrei fare, ma mi avete abituato troppo bene, “Change it” è molto bella, ma rispetto alle altre ballad del passato mi ha dato l’impressione di essere stata aggiunta all’ultimo.
Dopo i precedenti album dove abbiamo sempre curato da soli la produzione artistica, in “Fase 2” abbiamo avuto l’onore ed il piacere di lavorare con Giovanni Ferrario, musicista e produttore di lunga esperienza (PJ Harvey, John Parish, Hugo Race, Morgan, Scisma, Mice Vice ed altri) che ha dato il suo tocco ad “Alzare la marea” e soprattutto a “Change it”. Nel primo caso è stato un lavoro d’equipe, mentre nel secondo abbiamo sposato completamente la sua proposta di produzione che ci ha stregato fin dal primo ascolto. Probabilmente la lingua inglese, scelta condivisa con Giovanni, ed il suo stile differente dal nostro, rendono il brano un po’ “distaccato” dagli altri, ma per noi è un pregio non un difetto visto che amiamo spaziare nei generi anche all’interno dello stesso disco.
 
Avete già programmato un tour? Dove vi potremo vedere?
Dopo le prime date di presentazione di Fase2 siamo entrati nella famiglia di Bagana Rock e ne siamo molto felici, stanno lavorando per noi, presto potremo annunciare le date del tour che dalla tarda primavera ci porterà in giro per l’Italia speriamo isole comprese. Restate in contatto con noi sui nostri vari canali social, perchè presto arriveranno i dettagli.
 
Altri progetti futuri in movimento? Altre collaborazioni con band mondiali ne avete in programma?
Le idee non stanno mai ferme, stiamo già ragionando su un prossimo disco da realizzare in un futuro non troppo lontano, anche ad un nuovo step evolutivo per la band magari con qualche collaborazione importante. Però scaramanticamente non diciamo di più e creiamo un po’ di suspense.
 
Cosa vi piace ascoltare al momento?
Rimaniamo sempre vari ed eterogenei come in passato. Si va da Converge e Meshuggah ad Arcade Fire, City and Color, Tycho, Dead Weather, TV on the Radio, a cose più pop tra Rihanna, Farrell Wlliams o Lady Gaga fino all’house elettronica. Insomma se la musica è bella, supera tutti i generi.
 
MAURIZIO DONINI

 
I PLAN DE FUGA sono:
Filippo de Paoli: vocals, guitar
Simone Piccinelli: guitar, piano, rhodes
Marcello Daniele: bass guitar, vocals
Matteo Arici: drums

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