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MULTIVERSO – Intervista alla band

MULTIVERSO – Intervista alla band

Innanzitutto una mia curiosità: come avete deciso di formare una band rock che canta nella nostra lingua madre?
Il discorso sulla lingua è in realtà molto semplice. Facciamo canzoni e le canzoni  sono fatte da musica e parole; dato che siamo tutti italiani, parliamo e pensiamo in italiano, esprimiamo le nostre emozioni in questa lingua, viviamo e suoniamo in Italia… be’, cantare in italiano era la cosa più naturale, per non rinunciare all’opportunità di comunicare attraverso le canzoni nel modo più diretto possibile.
Vogliamo sfruttare al massimo il potenziale della nostra lingua madre nella musica che ci piace, sfatare il pregiudizio per cui l’italiano non sia adatto ad alcuni generi musicali, consapevoli del fatto che, fortunatamente, non siamo certo i primi a percorrere questa strada.
 
Il vostro nome Multiverso, sembra racchiudere più concetti in una parola o sbaglio?
Multiverso è una parola che indica, in fisica moderna, l’ipotesi sulla coesistenza di  più universi, di dimensioni parallele. Noi abbiamo preso in prestito questo termine, al di là del suo significato scientifico, perché ci piace il senso metaforico che scaturisce dall’accostamento di questa parola alla dimensione esistenziale dell’uomo. Un po’ come se ogni singolo individuo fosse un universo, di esperienze, di emozioni, di ricordi, di idee.
 
Veniamo al vostro primo album appena pubblicato: In successione continua d’istanti. L’ho ascoltato, complimenti! Com’è nato l’album? Avete scritto insieme testi e musica?
Quando abbiamo completato la composizione del disco, ci siamo ritrovati quasi inconsapevolmente con un concept album tra le mani. Tutti i brani infatti raccontano qualcosa del nostro rapporto con il tempo. Parlano di crescita, di ricordi, di come cambia con gli anni il nostro punto di vista sulle cose e sulle persone. Da qui il titolo, In successione continua d’istanti, che è proprio una sorta di definizione del concetto di tempo, descritto in relazione all’esperienza che tutti noi abbiamo di esso. L’approccio alla scrittura dei brani è molto da sala prove. Partiamo sempre dall’input di uno di noi che arriva con un riff di chitarra, un ritmo o un giro di basso; poi improvvisiamo partendo da quella base e creiamo la linea vocale, infine lavoriamo sugli arrangiamenti. I testi, per questo disco in particolare, sono arrivati dopo. Sono stati scritti sulle musiche, cercando di valorizzare le armonie e la metrica della linea vocale, stesa inizialmente in una non-lingua. Abbiamo affidato a Veronica Gabetta il compito di trasformare queste linee vocali in testi coerenti, che nel contenuto tenessero in considerazione le atmosfere evocate dalla musica.

L’album presenta sonorità rock, grunge… Che musica ascoltavate da ragazzi? E ora?
Filippo:
Ho iniziato da bambino coi Beatles di cui, grazie ai miei genitori, conosco TUTTO. Credo mi abbiano dato un imprinting importante sull’idea pop dei pezzi rock. Poi per via di mia zia e mia cugina, tante band anni ’80: Queen, Dire Straits, Metallica, Guns’n’Roses, Spandau Ballet, New Kids On The Block, Michael Jackson, Madonna e Depeche Mode. Insomma, invece delle musiche dei cartoni animati come tanti bambini, ascoltavo tutto questo. Sono passato poi agli anni ’90, e tutta la scena grunge mi ha chiaramente influenzato (Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains, Temple of the Dog, Screaming Trees…). Poi, una volta arrivato agli anni 2000 (Deftones, Soulwax, Gomez…) sono tornato indietro ai ’60/’70 (Led Zeppelin, Rolling Stones, Jimi Hendrix, The Who, The Doors…). Oggi ascolto pop, classica, elettronica… un po’ di tutto, e cerco di capire… alle volte anche quello che non mi piace al primo ascolto. Oggi ucciderei per vedere live i Queens Of The Stone Age o i Nine Inch Nails. In italia ho ascoltato Litfiba (fino a Terremoto), Ritmo Tribale, Karma, Casino Royale, Marlene Kuntz, Subsonica, Motel Connection, Il Teatro degli Orrori e parte della scena hip hop, come il mitico Frankie Hi-nrg che stimo moltissimo per il suo modo diretto di scrivere testi. Oggi ricerco band che possano avere presa sulla mia idea di fare musica, cito su tutti i torinesi Be the Wolf, del mio amico Federico Mondelli, un artista a 360 gradi ed una band validissima.
Andrea:
Il disco che mi ha veramente avvicinato alla musica rock è Nevermind dei Nirvana, avevo 13 anni. Da lì la scoperta di tutte le band riconducibili al grunge. Poco prima avevo letteralmente consumato la discografia dei The Doors, gruppo che ascolto ancora oggi con piacere. Gli Alice in Chains sono stati per anni il mio gruppo preferito e contemporaneamente ascoltavo band come i Tool di Aenima, i primissimi Korn e Deftones, i Rage Against the Machine, il disco d’esordio dei Cold, i Refused di The Shape of Punk to Come, i Sonic Youth, PJ Harvey, ma anche il trip hop dei Portishead, Psyence Fiction degli Unkle, Chemical Brothers e Massive Attack. Dai 18 anni in avanti ho iniziato a scoprire gli anni ’80, che fino ad allora avevo praticamente demonizzato. Da qui in avanti la mia ecletticità, in quanto ad ascolti, non ha avuto limiti. Faccio qualche nome al quale mi sono avvicinato in quel periodo, giusto per rendere l’idea: Depeche Mode, Kraftwerk, David Bowie, The Cure, Joy Division, Bauhaus, Cocteau Twins, CCCP, Siouxsie and the Banshees… Oggi trovo difficile inserire i miei ascolti in un percorso cronologico che dal 2000 arrivi ad oggi, senz’altro continuo a preferire quei gruppi o quegli autori che sanno fondere  diversi generi musicali con uno stile personale, ne cito qualcuno  in ordine casuale di tempo e d’importanza: dEUS, Dead Can Dance, Interpol, Afterhours, Zoot Woman, Postal Service, Bluvertigo, Massimo Volume, Paolo Benvegnù, Notwist, Verdena, Tame Impala, Editors, Union of Knives, Telefon Tel Aviv, Fever Ray, Placebo, Sigur Rós, Survive…
Mirko:
Ho iniziato ad ascoltare musica rock da ragazzino, partendo dalla scena metal (Metallica, AC/DC Iron Maiden, Megadeth, Antrax, Pantera, Machine Head, Sepultura, Ozzy, ecc…). Poi negli anni ’90, iniziando a suonare il basso, mi sono avvicinato a tutta la scena grunge e post grunge (Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Deftones, Incubus, Tool, Foo Fighters, Alice In Chiains, Faith No More, ecc…). Col passare del tempo, prendendo dimestichezza con lo strumento, ho cominciato ad apprezzare sonorità più funk: i primi Red Hot Chili Peppers (per me quelli veri) e bassisti maestri di groove come Gary Willis (il mio preferito). Ho poi riscoperto gruppi storici del rock/blues quali Led Zeppelin, Deep Purple, Jimi Hendrix ed il mitico Jonny Cash, che adoro. Oggi ascolto di tutto, dal rock 70’s, alla dance, a Jamiroquai. Uno dei nuovi progetti che mi ha stupito di più sono gli inglesi Royal Blood. Una combinazione di basso e batteria  dal  forte  impatto.  Due  soli  componenti   con   un   tiro   terrificante!   Nella scena italiana non sono mai stato attratto da qualcuno in particolare, a parte i Subsonica.
 
Son rimasta colpita dalla copertina dell’album. Cosa rappresenta?
Rappresenta molte cose e ha dei legami sia col nome della band sia col titolo dell’album. Innanzitutto il cane, che agli amanti del genere ricorderà senz’altro la copertina di Alice in Chains. Ecco, non è un caso, siamo tutti molto legati a quel disco e a quella band, con la quale siamo cresciuti. Nel disco degli Alice il cane era (sì, con 3 zampe, ma non era questo il particolare sul quale volevamo soffermarci) per così dire in primo piano. Nella nostra copertina invece il cane è lontano e proietta la sua ombra verso chi guarda, ombra che si staglia sulla sabbia e poi sul mare. È un po’ il nostro sguardo verso il 1995, l’anno in cui più o meno tutti e tre abbiamo iniziato a suonare. Il bianco e nero fotografico e il font ricordano invece un altro disco fondamentale, uscito appena tre anni prima: l’album d’esordio dei Rage Against the Machine, vero spartiacque nel panorama alternative. Due parole sull’ambientazione della scena. Le onde del mare scandiscono lo scorrere del tempo attraverso una successione continua, tracciando inoltre una sorta di confine tra la dimensione terrestre e quella acquatica. I granelli di sabbia della spiaggia richiamano una famosa metafora che è spesso utilizzata per rendere l’idea dell’ordine di grandezza del numero di stelle presenti nel nostro universo: “Ci sono più stelle in cielo che granelli di sabbia nelle spiagge e nei deserti della Terra”. La foto in copertina è di Matteo Perazzolo, e approfittiamo dell’occasione per ringraziarlo!
 
Che importanza hanno i social network per le giovani band come la vostra?
Innanzitutto, grazie per il “giovani” 🙂 La volontà sarebbe quella di dire che conta solo la musica! In realtà sappiamo che non basta creare dei buoni contenuti, ma bisogna anche curare tutti quegli aspetti che uniscono chi fa la musica a chi l’ascolta. Dunque diciamo che in questo senso i social network sono uno strumento molto potente per arrivare alla gente. Prima il web e poi il web 2.0 hanno profondamente trasformato l’industria discografica, e dunque la strada che una band deve percorrere per incontrare il suo pubblico. Il contesto e i mezzi utilizzati quindi cambiano, e con essi cambiamo anche noi, consapevolmente o meno. Ciò che rimane invariato sono le esigenze di base, dal nostro punto di vista una su tutte: fare e condividere la musica che ci piace.
 
È appena cominciato il nuovo anno: buoni propositi? Concerti per i Multiverso?
Il prossimo appuntamento dal vivo è per il 21 gennaio all’Arlecchino di Vedano Olona, in provincia di Varese. Sarà la serata di presentazione ufficiale del nostro disco, In successione continua d’istanti. Attualmente stiamo lavorando per pianificare un’attività live più continuativa. Il concerto è una dimensione nella quale spesso, anche per esigenze pratiche, ci divertiamo a giocare coi nostri pezzi, arrangiandoli in chiave acustica e rivisitandoli nel genere. L’obiettivo è quello di adattare il nostro set anche a location diverse dal classico locale, come web radio o piccoli club. Facendo questo lavoro ci siamo resi conto che, un po’ come suggerisce il nostro nome, le nostre canzoni si prestano bene ad essere riviste e collocate anche in universi (musicali) paralleli a quello dal quale provengono.

MONICA ATZEI

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