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JAMES SENESE – Intervista: “La musica che fai deve dire chi sei”

JAMES SENESE – Intervista: “La musica che fai deve dire chi sei”

Ciao amici di Tuttorock, è per me un grande onore e un grande piacere essere in compagnia di James Senese, che saluto e ringrazio per l’ospitalità e…
Non dire stronzate dai (ridiamo tutti ndr.).
 
Vorrei iniziare con quello che un po’ l’argomento del giorno: l’annuncio della data di uscita del nuovo album dei Napoli Centrale (29 Aprile ndr.). Ci puoi dire qualcosa a riguardo? Come nasce?
Diciamo che è un disco di transito: è cambiata la società in parte e siamo cambiati anche noi. Parla molto di religiosità. Ho voluto cambiare un parte di me stesso, cercare di rivolgermi un po’ di più alla massa. Non essere più cosi “estremisti,” come è stato finora il nostro discorso musicale. Mi è sembrata la cosa più giusta da fare.
 
Facciamo un passo indietro nel tempo. I Napoli Centrale sono nati negli anni ‘ 70, in quel periodo che è riconosciuto come il più ricco artisticamente del ‘900 in Italia. C’era il fenomeno del rock progressivo, delle avanguardie, si andavano a rompere i vecchi schemi musicali, sia nello stile che nei contenuti,  Tu che hai vissuto quella scena, ti spieghi come si è arrivati alla situazione attuale? Dove si è sbagliato?
Noi non abbiamo assolutamente sbagliato, se siamo ancora qui. Siamo un gruppo di avanguardia che ha creato una moda, per così dire. Napoli è partita tutta da Napoli Centrale, ma non solo Napoli, anche l’Italia in generale. La musica che tu hai ascoltato stasera, è quella che facevamo allora e che ancora oggi è tremila anni avanti. Questo è quello che succede quando fai qualcosa di molto diverso dalla massa. Anche i grandi registi ad esempio, li scopri magari dopo  50 anni: è perché vanno oltre rispetto alla fisicità di quello che viviamo. Dopo 40 anni facciamo concerti dove vengono 15 mila – 20mila persone, perché funziona il nostro linguaggio.
 
Al giorno d’oggi si sta commettendo l’errore di considerare la musica semplicemente come intrattenimento, facendole perdere la sua enorme funzione espressiva
Questi sono i mass media. “Tutto e subito” non va bene per nessuno, vogliono farci credere sia cosi, ma dura poco. La musica che fai deve dire chi sei, dove hai vissuto. cosa fai , chi eri. Se guardi tutti i grandi musicisti americani degli anni ‘50, vengono tutti dal ghetto, dalla fame, dalla povertà. Per noi è cosi. Con tutto il rispetto per quei giovani del “tutto e subito”, dobbiamo dirlo che quella non è la strada giusta. Te la devi lavorare. Devi guardarti intorno a 360 gradi. Noi siamo in un’altra dimensione. Vorremmo che i giovani capissero certi sentimenti, ma è un po’ difficile.
 
A volte forse solo con la musica infatti si possono dire determinate cose
Chi cerca, trova. Parliamo dei grandi musicisti di un tempo, noi li ascoltiamo ancora, nessuno ha detto quello che hanno detto loro. Quella è la musica che rimarrà per sempre, è immortale.
 
Una delle tue grandi influenze è il jazz dei neri d’America. Il movimento è partito da lì, è arrivato in Europa dove abbiamo dei bravissimi musicisti, però mi sembra che ci sia una grande differenza fra quello e questo europeo. Si tratta di una questione di tecnica o di passione?
Il jazz è passione. L’Europa ha confuso il messaggio. Per impararlo ci vuole chiaramente lo studio, ma per gli americani suonare il jazz è “suonare la canzone”, non è un discorso di tecnica come qui. Qua lo chiamano “jazz”, in America no.
 
Per concludere mi piacerebbe sapere com’è stato il tuo approccio alla musica, a questo genere di musica. Non a livello artistico. Il momento in cui hai pensato:“Questo è quello che mi piace”.
A diciotto anni già ascoltavo musica d’avanguardia, John Coltrane, Miles Davis. Sono stato portato verso questa musica, era dentro di me. Siccome sono nato a Napoli da madre napoletana e padre americano, quella parte di America l’ho portata con me. E per una cosa naturale ho unito queste due anime, ed è nato questo tipo di musica, la mia.
 
Ti ringrazio è stato un piacere enorme fare questa chiacchierata. Mi auguro lo sia stato per te almeno un quarto di quanto lo è stato per me.
“E vabbuo’ ja”. Ciao, ciao.
 
A cura di Francesco Vaccaro