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VINICIO CAPOSSELA “Le canzoni della cupa tour” – Live @ Beat Festival, E …

VINICIO CAPOSSELA “Le canzoni della cupa tour” – Live @ Beat Festival, E …

Dopo il magnifico concerto di sabato degli Afterhours supportati da Il Teatro degli Orrori, torniamo nella splendida cornice del Parco Serravalle di Empoli per assistere al live del Polvere tour di Vinicio Capossela, giunto qui stasera dopo le fatiche dello Sponz Fest (festival da lui ideato e diretto che si svolge ogni anno in Irpinia), che andrà a concludere la seconda edizione del Beat festival.

All’ingresso rimaniamo un po’ sorpresi dalla presenza di numerosi cani antidroga della guardia di finanza, mentre giunti di fronte al main stage, si rimane subito affascinati dalla scenografia imponente e fantasiosa: spighe di grano per dare un  tocco western, un’antica nave come simbolo del viaggio, e all’ingresso dei tanti musicisti che supportano Capossela, il palco si riempie di sombreri e abiti tipicamente messicani, oltre a una varietà impressionante di strumenti: due trombe mariachi messicane, due cupa-cupa lucani, due voci (una femminile ed una maschile), un coro greco, una coppia di chitarre, una coppia ritmica e tanti altri strumenti sparsi tra cui pelli, aulofoni, sonagli, mellotron e distorsori, utilizzati a piacimento e sempre con grazia.

Il viaggio inizia con un Vinicio Capossela nelle vesti della Bestia del grano, che è proprio il primo brano eseguito dalla straordinaria formazione presente sullo stage; l ’artista torna poi sul palco salutando i fan con cappello, la sua famosa giacca in stile uniforme e una chitarra, per cantare al proprio pubblico Femmine, un pezzo dedicato allo sfruttamento delle donne negli antichi lavori tra vitigni e piantagioni di tabacco, e si continua a parlar di donne con La padrona mia, brano del suo ultimo album Le canzoni della cupa cui questo tour è dedicato, mentre l’atmosfera diventa decisamente più country folk con Zompa la rondinella, brano ispirato a detta dell’artista dalla musica di Johnny Cash.

Dopo le storie cavalleresche e di notti di amore comprate per 30 marenghi in L’acqua chiara della fontana, Capossela ci introduce poi ad una storia di cavalieri, ovvero i mulattieri di Scorza di Mulo, la cui esperienza polverosa viene raccontata su note quasi folk, che si abbracciano con armonia a quelle de La notte di S. Giovanni grazie alla quale vediamo con la nostra immaginazione la storia di Erode e di vergini sognanti ed impaurite da leggende di villaggi antichi.

Il tema del viaggio ritorna con Signora Luna, mentre l’atmosfera inizia a farsi decisamente più vivace con Rapatatumpa; Capossela ricorda poi Matteo Salvatore, considerato come il più grande “cantante della fame” mai avuto in Italia, eseguendo prima una sua cover, Lu Furastiero, e successivamente un brano a lui ispirato, Nachecici: da ora in poi il concerto il concerto assumerà i contorni di una festa in musica.
Vinicio Capossela imbraccia la fisarmonica ed esegue Teresuccia, un canto di mietitura che avevamo già conosciuto nel film e nel libro Il paese dei Coppoloni, usciti nel 2015, mentre indossa un vestito da stregone per Lo Sposalizio Di Maloservizio, ridente storia di un matrimonio sabotato.
E dopo i tanti brani tratti dall’ultimo album Canzoni della cupa, l’artista propone alcune tra le sue canzoni di maggior successo: Maraja, Re della cantina e la sferzante L’uomo vivo (inno alla gioia), che trascina tutto il pubblico a ballare.

Trombe squillanti introducono Al colosseo, mentre per Brucia troia (riarrangiata in una chiave più rock) e Il Ballo di San Vito Capossela indossa la maschera del brucranio, rendendo l’esibizione ancor più scenografica, al termine della quale l’artista e tutta la sua band si concedono una breve pausa dopo due ore intense di concerto.

Al rientro, l’atmosfera si calma, e si fa quasi rarefatta con Camminante, romantica ballata che il pubblico ascolta in religioso silenzio e che riprende sempre il tema del viaggio, per poi proseguire con Camera a sud, al termine della quale Vinicio Capossela invita sul palco un caro amico poeta di strada, che legge al pubblico una poesia sui trasporti, di denuncia sulla condizione dei servizi pubblici in Italia.
Infine, chiude il concerto La golondrina, canzone cantata dai contadini contro lo sfruttamento dei latifondisti, l’artista invita tutti gli spettatori ad abbracciarsi e a mollare i telefonini, per vivere a pieno tutta l’atmosfera che il brano è in grado di creare, dimenticandosi per una volta di video e fotografie; dopo quasi tre ore di spettacolo, il concerto e il Beat festival terminano, con la consapevolezza da un lato, di aver assistito allo spettacolo di un’artista unico nel suo genere in Italia, capace come forse nessun altro di affascinare il pubblico con uno spettacolo di scenografie, costumi e musiche di altissima qualità, e dall’altro di aver visto un progetto come quello del Beat festival, in grado attraverso il connubio tra musica, arte e cibo di qualità di coinvolgere decine di migliaia di persone nei 4 giorni della manifestazione, con l’auspicio che esempi positivi come questo festival si possano diffondere in tutta Italia.

ALESSANDRO FABBRIZZI
Photoset by DANIELA NUVOLONE
 
Credits: si ringrazia Davvero Comunicazione per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.

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